Docenti universitari contro il DDL scuola. A Bologna il Convegno della FLC CGIL
La legge sulla scuola presenta profili di dubbia costituzionalità, sulla libertà di insegnamento, sul finanziamento alle scuole private, sulla valutazione. Ne va contrastata l’applicazione.
Alla presenza di docenti, dirigenti scolastici, ATA, studenti, con la partecipazione del Segretario generale della FLC CGIL e del Segretario della Camera del lavoro di Bologna, si è svolto il 30 giugno 2015 l’incontro organizzato dal nostro sindacato con i diretti estensori dell’appello lanciato un mese fa da Vittorio Angiolini e Antonio D’Andrea, costituzionalisti, e Mario Ricciardi, docente di diritto del lavoro. Sintesi degli interventi.
I lavori, svoltisi all’Università di Bologna, nella Facoltà di Giurisprudenza, sono stati condotti da Alessandro Arienzo, giuslavorista dell’Università di Napoli e Coordinatore del Forum Università della FLC CGIL.
Nella sua introduzione Arienzo ha sottolineato che il documento, sottoscritto da un numero altissimo di colleghi universitari delle varie discipline scientifiche, ha avuto il merito di porre al più alto livello la discussione che si è svolta, per altri versi, tra confusi annunci mediatici e falsante propaganda di schieramento; ma ha anche segnato l’attenzione del mondo universitario su ciò che stava accadendo nella scuola, principalmente intorno a 4 elementi cruciali:
- il valore costituzionale del sistema pubblico dell’istruzione
- il rapporto scuola-società e le ragioni che possano giustificare i continui attacchi
- la professionalità degli operatori scolastici, non solo docenti
- l’autonomia scolastica.
Con la convinzione, poi smentita, che si sarebbe aperto un dialogo sulle questioni più controverse.
I tre relatori, che hanno introdotto brevemente la discussione soffermandosi sui vari aspetti del disegno di legge, hanno poi concluso la giornata raccogliendo gli spunti offerti dal dibattito che ne è seguito animato, tra gli altri, dagli interventi del rappresentante degli Studenti della Link, del Segretario generale della Camera del Lavoro di Bologna, Maurizio Lunghi, dalla Segretaria generale regionale FLC CGIL Emilia Romagna Raffaella Morsia, dal Presidente nazionale del CIDI Giuseppe Bagni.
Ha offerto il suo contributo politico il Segretario generale della FLC CGIL Domenico Pantaleo.
In particolare, negli interventi introduttivi e conclusivi della giornata: il prof. Angiolini ha esaminato i profili di dubbia Costituzionalità della legge anche in relazione all’attacco che viene portata ad una cittadella dell’autonomia, quale è la scuola; il prof. D’Andrea ne ha fatto un inquadramento nell’attuale fase politica soffermandosi anche sulla crucialità del sistema di istruzione che, se dissestato, può aprire varchi pericolosi per la democrazia italiana; il Prof Ricciardi ha sottolineato la grande delusione di una grande annunciata riforma che si è risolta in una negazione del dialogo sociale, in un attacco-negazione della contrattazione, nell’introduzione di una modalità valutativa che contraddice i parametri fondamentali condivisi ed elaborati a livello europeo.
Sintesi degli interventi
Vittorio Angiolini, Professore ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università di Milano
Questa riforma lascerà tracce profonde e in estrema sintesi ne elenco l’aspetto più impressionante: l’intero disegno di legge è la negazione che possa esistere un ambito, come quello dell’istruzione, che abbia funzione autonoma rispetto al quadro economico e produttivo del Paese.
In tutto l’impianto di riforma non è presente una riga su cosa si studia e quali siano le finalità: cosa è da un lato la formazione del cittadino e cosa la formazione professionale.
Questi i punti “inquietanti”
- Pur non avendo l’Italia una tradizione di scuole private di eccellenza, si incentiva l’iscrizione alle scuole private, nell’ottica di un ribaltamento culturale e sociale.
- La cancellazione degli organi collegiali, portata alle estreme conseguenze dai poteri esclusivi assegnati al dirigente; ad esempio la “chiamata diretta” che viola il principio della indiscrezionalità della Pubblica amministrazione.
- Il problema della valutazione dei docenti è in realtà un non-problema: il criterio è nel riscontro dell’intervento didattico, dove sono “i tanti” (gli studenti) a valutare l’efficacia dell’insegnamento di “uno”. Qui assistiamo all’inversione della normalità, dove è in capo ad uno solo (il dirigente) la valutazione di molti (i docenti).
- L’alternanza scuola-lavoro che è imposta e non collegata al curricolo e alla metodologia didattica
Ultimo ma importantissimo aspetto inquietante è che dopo la magistratura e l’università, si è giunti a mettere mano alla scuola, l’elemento storicamente più difficile da “rovinare”. Fatto questo oltraggio all’intero apparato costituzionale, ci rimane poco altro da distruggere.
Antonio D’Andrea, Professore ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università di Brescia
Le riforme sono certamente un cambiamento, ma non per questo devono stravolgere i principi costituzionali.
La lettura del maxiemendamento fa emergere un’idea di svolta che va incontro alle esigenze di questa società: l’alternanza, la formazione professionale, l’autonomia; nella realtà le intenzioni sono ben altre.
Un esempio: si spaccia per “autonomia” la volontà verticistica di decidere, affidata ad un unico soggetto, capace di “confezionare” tutto senza discutere, dai problemi didattici, al personale, fino alla richiesta di finanziamenti.
L’idea che si rinunci ad una gestione condivisa è ben evidente anche in altri campi, dove il confronto tra le parti, viene visto come rallentamento del processo anzichè garanzia democratica. Si veda per tutti l’attività del Parlamento.
Nella scuola viene ribaltato il principio storicamente radicato che dalla discussione , dalle differenti posizioni, dalla pluralità di interventi possa nascere quel percorso formativo così importante per la crescita dei giovani.
È un retaggio considerato “barocco”, “bizantino”, ostile al funzionamento e al movimentismo che caratterizza questo Governo, e pertanto va rimosso.
Il modello di efficientismo da imitare è quello aziendalistico che si tenta di imporre alla scuola pubblica con danni ingenti su tutto l’impianto democratico, perché la scuola è l’ultimo anello ancora vitale.
Mario Ricciardi, Professore associato di Diritto del lavoro nell'Università di Bologna
Al momento della firma dell’appello, la nostra posizione era di forte perplessità, ma anche di “attesa speranzosa”.
Il fatto che un governo considerasse priorità negli interventi la necessità di investire sulla scuola pubblica è stato un segnale di particolare attenzione; che poi tutto questo venisse da un governo di centro-sinistra era di buon auspicio, perché si presentavano forti le premesse di poter attingere dal lungo dialogo intercorso negli anni con le parti sociali.
Naturalmente questa speranza è andata ben presto delusa: il corposo documento dell’autunno scorso era pieno di melassa e luoghi comuni. Qua e là qualche spunto buono, sul quale poter aprire un confronto costruttivo con i sindacati.
Invece di andare in questa direzione, il Governo ha preferito avviare la grande consultazione on-line, con esiti di dubbia qualità che hanno portato alla stesura del DDL; emergono dalla lettura i resti della riforma-Brunetta, del disegno di legge Aprea, il tutto “condito” da passaggi di cultura aziendalistica.
Ma il risultato è andato oltre, prefigurando uno scenario assurdo, perché nessuna azienda potrebbe funzionare nell’ottica di un tale esclusivo dirigismo, facendo a meno della collaborazione di coloro che vivono quella realtà.
Analizziamo qualche punto del maxiemendamento:
- L’offerta formativa: gli obiettivi posti nel comma 7 sono per scuole ricche o che possono contare su forti investimenti.
- L’autonomia: prevede una rete di figure atte a costituire l’intelaiatura del fabbisogno, non certo il potere decisionale in una sola persona.
- Le risorse umane: realizzare il processo dell’autonomia significa assecondare il bisogno di partecipazione e collaborazione di tutti quanti operano in quel contesto, personale amministrativo, tecnico e ausiliario compreso, che nel disegno di legge non trova riscontro. In realtà gli ATA, più dei docenti, dovranno fare i conti con la “governance verticistica” della riforma.
- Il Dirigente: concentrare tanti poteri nelle sue mani, significa ignorare quanti di loro hanno difficoltà nell’ordinario svolgimento delle funzioni attuali. E i presidi, in questa “cattiva scuola” rischiano di diventare le prime vittime.
- Alternanza scuola-lavoro: evidenzia tutta l’arretratezza culturale della presunta riforma, ritornando indietro nel tempo, con l’idea di separare precocemente alcuni giovani da altri, per avviarli alla professione.
- Valutazione: va oltre la soglia dell’assurdo, per la faciloneria con cui si è montato-smontato-rimontato il concetto, senza definire i tempi, i criteri, gli obiettivi qualitativi.
- Il compito viene assegnato ad un Comitato i cui componenti avranno inevitabilmente interessi eterogenei, se non opposti tra loro, senza alcuna preparazione specifica alla funzione.
- Infine la premialità, che andrà ad arricchire la retribuzione individuale, in netta violazione delle norme contrattuali: a questo traguardo, neppure Brunetta era riuscito ad arrivare.
Domenico Pantaleo, Segretario generale FLC CGIL
Penso che l’appello esposto con grande efficacia dimostri che ci troviamo di fronte ad un passaggio cruciale per i settori della conoscenza.
L’idea messa in atto dal Governo rappresenta un cambiamento tale da mettere in discussione la stessa funzione costituzionale della scuola pubblica e inserisce l’intero provvedimento nell’ambito di quanto raccomandato dalla BCE nella famosa lettera dell’estate 2011: la scuola deve essere subalterna alle logiche produttive e di mercato, con conseguente rimozione di tutte le componenti che ostacolano questo processo (contratto collettivo, sindacati...).
La definitiva applicazione della riforma porterà la scuola verso un radicale cambiamento, ignorando le materie di vero interesse e non dicendo nulla di antidispersione, diritto allo studio, ricerca didattica, cicli, programmi o metodologie.
Perciò vogliamo ostacolare questo disegno, perché la nostra idea di scuola, invece, è tutto questo, insieme ad un sistema che continui a garantire partecipazione, democrazia, condivisione e rappresentanza.
La Buona Scuola è il contrario: asservita ai “poteri forti” (Tre elle, Confindustria)che determinano le prese di posizione di questo Governo e tutte le sue scelte, istruzione compresa.
A dimostrazione di ciò, è sufficiente prendere in considerazione, come cartina di tornasole, l’alternanza scuola-lavoro, che nulla c’entra con quanto prospettato nella falsa operazione mediatica (la scena con lavagna). Altro non è, se non un pacchetto di 200 e/o 400 ore che si configura come lavoro gratuito, scollegato dalla didattica, sotto forma di obbligo e con un peso nella valutazione.
Del tutto distorsiva l’affermazione che “è dall’alternanza che si crea lavoro” come sempre sostenuto dalla ministra Giannini.
Sul dirigente: dichiarazioni come quelle già rilasciate da esponenti governativi, ancora una volta, possono venire solo da chi è estraneo al mondo della scuola. Pensare che il DS diventi “responsabile” dei risultati del lavoro docente, delle iscrizioni, dei livelli di apprendimento e altro, è stravolgere la realtà, perché sono negate le condizioni storiche di un sistema complesso, che vive di partecipazione, cooperazione, collegialità e principi di uguaglianza.
A questa figura vengono assegnati poteri da manager d’azienda, secondo un’impostazione meramente ideologica, falsata da propaganda mistificatoria. Ad esempio sul potere di assegnare la premialità ai docenti da lui selezionati: con quale valutazione, con quali criteri di trasparenza amministrativa, di cui dovrà essere lui stesso garante?
Precariato: è un meccanismo infernale che non sarà cancellato nemmeno dal disegno di legge, anzi... Ai supplenti esclusi dalle stabilizzazioni e dai concorsi si aggiungeranno diverse e maggiori forme di precariato fino ad ora non conosciuto.
Personale ATA: è stato ignorato, cassato dal vocabolario del Governo, nonostante i nostri continui richiami ad un organico funzionale anche per delle figure lavorative che, come quelle ATA, nella scuola dell’autonomia, sono importanti ai fini del raggiungimento dei risultati organizzativi e didattici.
Scuole private: mentre le pubbliche sono in condizioni disperate (per applicare l’autonomia occorrono ampie risorse), per le private ci sono finanziamenti e sgravi fiscali.
Si sancisce “un principio opposto a quello previsto nella nostra Costituzione”.
A questo punto si pone il problema di come affrontare la nuova situazione.
Intanto occorre continuare a contrastare l’applicazione di questa legge. Perché la partita non è chiusa: il movimento di protesta ha messo in seria difficoltà il Governo, ostacolandolo con iniziative diffuse e organizzate.
Non bisogna arrendersi perché se il testo avanza così, dopo il 7 luglio non esisterà più alcuna alternativa e nel giro di qualche anno la modifica sarà strutturale, culturale e definitiva.
L’azione sindacale partirà dal precariato, dalla difesa della libertà di insegnamento e soprattutto dal fatto di opporre ad un progetto che prende vita in assenza di consenso la capacità di partecipazione, di costruzione e di proposta.
Fin da subito, dal primo settembre.