Manovra pesante e silenzio sulla conoscenza
Mancano rigore, crescita, equità, lotta agli evasori. Ci opporremo con tutte le nostre forze per ottenere significativi cambiamenti della manovra. Il 19 dicembre 2011 con modalità diverse scioperano la scuola, l'università, la ricerca, l'AFAM e la formazione professionale.
I fardelli dei sacrifici
Il 4 dicembre il governo ha licenziato la manovra finanziaria di 30 miliardi di euro (correzione lorda 20+10 per interventi a favore della crescita) che vanno ad aggiungersi ai circa 200 miliardi delle manovre varate dal precedente esecutivo. È una manovra fortemente iniqua e molto debole sul versante della crescita. Infatti, le politiche della crescita non possono agire solo sul versante del potenziamento dell'offerta da parte delle imprese. Se si riducono salari e pensioni si deprime la domanda interna e si rischia di perdere altra occupazione. Non si intravede alcun segnale d'effettivo cambiamento in direzione di una maggiore giustizia sociale, anzi si prosegue con le politiche neoliberiste che hanno causato la crisi globale.
Si apre una fase di sacrifici durissimi, pesanti fardelli che ricadranno sulle spalle dei lavoratori dipendenti, dei pensionati, delle famiglie e dei giovani.
Aumentare, immediatamente e senza alcuna gradualità, l'età pensionabile per tutti senza fare distinzioni tra i tipi di lavoro, bloccare la rivalutazione delle pensioni al di sopra dei 935 euro mensili (un fatto che chiede giustizia) significa ancora una volta mettere sotto pressione quelle fasce sociali che finora sono state le più penalizzate dalla furia ideologica e classista del precedente governo. Peraltro ritardare il pensionamento in una situazione in cui cresce la disoccupazione significa rendere ancora più difficile per le nuove generazioni entrare nel mercato del lavoro. Innalzare, infine, le tasse riducendo il reddito disponibile delle persone attraverso l'aumento dell'Iva (un costo per i consumatori) e del prezzo della benzina finisce per pesare sulle fasce sociali più esposte all'impoverimento derivante dalla crisi.
Tutto ciò cade in un contesto di elevato stress fiscale (51%) che nel nostro Paese è già al di sopra della media OCSE (33,7%), con il prelievo per oltre l'80% concentrato su lavoratori dipendenti e pensionati, categorie che assolvono puntualmente quest'obbligo.
La stessa mano pesante invece non è stata usata per colpire gli evasori fiscali (i capitali scudati pagano solo l'1,5% in più) o per ridurre i costi della politica, misura chiesta a gran voce da parte di tutti i cittadini. Ad esempio si cancellano le giunte provinciali, ma restano in piedi i Consigli provinciali la cui utilità per i cittadini è vicino allo zero. Si poteva fare molto di più imponendo ai parlamentari di rinunciare, come hanno fatto i ministri, al cumulo di più trattamenti economici a carico dello Stato.
Molto poco si è fatto per tassare i grandi patrimoni, ai quali si poteva e si doveva chiedere di contribuire in maniera proporzionale e ragionevole al pareggio di bilancio. Si possono tagliare 18 miliardi per l'acquisto dei cacciabombardiere F35 e mettere all'asta le frequenze televisive. Si potevano cancellare opere infrastrutturali inutili e mettere a punto un piano per la messa in sicurezza delle scuole, per costruire nuovi edifici e per interventi di risanamento ambientale.
Tutto questo sarebbe stato ragionevole e soprattutto equo. Ci aspettavamo di fare ulteriori sacrifici vista la serietà del momento, ma avevamo sperato in una maggiore eguaglianza, in misure capaci di aprire un circolo virtuoso fatto di rigore, crescita e sviluppo.
Al mondo del lavoro si potevano dare alcuni segnali positivi, anche a costo zero, cancellando le misure ideologiche introdotte dal precedente esecutivo. Vedi ad esempio l'art. 8 della finanziaria di agosto sulla contrattazione aziendale e le norme Brunetta che, lungi dal migliorare la qualità dei servizi pubblici, hanno reso tutto più farraginoso sul piano burocratico, facendo aumentare i costi e le inefficienze della pubblica amministrazione e la conflittualità nei posti di lavoro.
L'assurdo silenzio sulla formazione
La più grande delusione arriva dal silenzio riservato ai nostri settori. Al sistema formativo del Paese non è stata dedicata nessuna attenzione. Tutti ormai sono concordi nel ritenere che investire in formazione e ricerca serve per favorire la crescita e lo sviluppo. In particolare l'istruzione è un settore strategico che fa da cerniera tra i diritti delle persone e lo sviluppo economico e democratico del Paese. Sarebbero stati sufficienti piccoli segnali per dare senso e consistenza alle parole del Presidente Monti sull'importanza che lo studio ha per dare una prospettiva, un orizzonte politico nuovo alle future generazioni e all'affermazione del presidente di Banca Italia che investire in capitale umano produce più ricchezza per gli individui e per la collettività. Invece dobbiamo constatare con amarezza che i nostri settori con questa manovra, se non sarà modificata, si troveranno ancora più in difficoltà rispetto al passato.
Ad esempio l'aumento generalizzato dei costi di beni e servizi e dell'IVA dal 10 al 12% (regime agevolato) e dal 21% al 23% non sono certo notizie esaltanti per le casse esangui di scuola, università, enti di ricerca. L'aumento dell'IVA determinerà in molti istituti la riduzione degli approvvigionamenti per le esercitazioni di laboratorio. Ne sono un esempio gli Istituti Alberghieri che giornalmente devono acquistare i prodotti alimentari.
Dati preoccupanti che si inseriscono in un contesto fortemente compromesso dalle politiche neo liberiste degli ultimi anni che hanno abbassato dello 0,50% la media della spesa per l'istruzione e la ricerca in rapporto al Pil che è tra i più bassi nei paesi OCSE (4,5% contro una media del 6,1%). Pertanto non è condivisibile l'idea di chi pensa che per ridare centralità ai settori della conoscenza non siano necessari investimenti, anzi si può ancora tagliare.
Le conseguenze di queste politiche sull'istruzione sono disastrose specie se si considera che con la crisi sono in aumento le famiglie a rischio povertà che, secondo il Rapporto Svimet 2011, in alcune zone del sud del Paese sfiorano il 40 % della popolazione.
Il peggioramento delle condizioni economiche e sociali fa diminuire la percentuale degli studenti che passa dal primo al secondo ciclo di istruzione e degli accessi all'università, perché le famiglie meno abbienti non sono più in grado di sostenere i costi dell'istruzione e l'aumento delle rette universitarie.
Inoltre, l'irrigidimento del sistema pensionistico avrà un effetto di riverbero sul turn over sbarrando la strada al rinnovamento nei nostri settori che invece avrebbero bisogno di risorse giovani per favorire il diritto allo studio e di cambiamenti e innovazioni in campo didattico, organizzativo e di ricerca.
L'effetto combinato tra aumento dell'età pensionabile, limitazione del turn over, legge Brunetta e riduzione delle risorse rende impossibile le stabilizzazioni dei precari e il reclutamento nei comparti di università, ricerca e Afam.
Impedire ad esempio di andare in pensione ai nati del 1952, bloccati da anni già dalle precedenti riforme, pur avendo anzianità molto alte dai 36 anni fino ad arrivare in molti casi a 40, non solo nega a questi lavoratori di percepire il meritato trattamento pensionistico che a volte, per la differenza di nascita di pochi giorni (ad esempio i nati nel gennaio), determina iniquità rispetto a chi è uscito dal 1° settembre 2011 con minori anzianità, ma ha effetti negativi sulla programmazione delle immissioni in ruolo per il 2012 e 2013 (20.000 docenti e 7.000 ATA per anno) legate al turn over.
Il settore della scuola aveva già pagato la crisi con oltre 130.000 tagli di posti di lavoro, blocco degli stipendi con il congelamento degli scatti e del contratto, riduzione dei finanziamenti per il funzionamento delle scuole. Esse aumenteranno, loro malgrado, il contributo a carico delle famiglie se vorranno mantenere l'attuale livello qualitativo, altrimenti gli studenti non avranno la preparazione necessaria per l'inserimento nell'ambito lavorativo.
L'innalzamento dell'anzianità ai fini pensionistici, da 41 anni a 43, con l'aggiunta di decurtazioni se si va in pensione prima dell'età prevista, rende in molti casi inefficace il servizio militare e il riscatto della laurea che molti lavoratori di scuola, università e ricerca hanno pagato facendo sacrifici: l'annunciato provvedimento del precedente esecutivo, rientrato nel giro di poche ore grazie alle numerose proteste, rientra in modo mascherato nell'attuale manovra.
Per il personale femminile di fatto vengono annullati i benefici di riconoscimenti importanti come i periodi di maternità fuori dal rapporto di lavoro o i riscatti pagati profumatamente dei periodi di astensione facoltativa per la cura dei figli. A nulla valgono le lacrime del Ministro Fornero: chi risarcirà queste donne che dovranno continuare a lavorare ancora per tanti anni garantendo l'assistenza agli anziani bisognosi di cure, ai quali si nega anche la perequazione della pensione perché superano di pochi centesimi i 935 euro lordi di pensione al mese? Già le percentuali di perequazione erano una miseria per il 2011, lo 0,70% al mese, e non coprivano certo l'aumento del costo della vita (inflazione al 3,8%).
Se a questo aggiungiamo l'introduzione dell'I.M.U. (vecchia ICI) sull'abitazione principale, di per sé forse abbastanza sopportabile, e la rivalutazione del 60% delle rendite catastali, magari su immobili gravati da pesanti mutui ipotecari, la tassazione sui redditi delle persone diventa un vero salasso.
La necessità dello sciopero e l'opposizione della FLC
Comprendiamo che la situazione è difficile ma pretendiamo criteri di equità, gradualità, giustizia sociale: questi provvedimenti non rispettano niente di tutto questo. Si annulla perfino il riconoscimento delle infermità dipendenti da causa di servizio, dell'equo indennizzo (per la verità una miseria a fronte di pratiche lunghe e complicate) e delle pensioni privilegiate per tutti i pubblici dipendenti escluso militari e forze di polizia. Ma con l'allungamento dell'età e dell'anzianità pensionabile, aumenteranno invece le infermità dipendenti da causa di servizio oppure gli incidenti in itinere o altri infortuni che nei nostri settori non sempre l'INAIL riconosce. In questi casi la procedura della causa di servizio garantiva un minimo di risarcimento e di riconoscimento; da ora in poi mancherà anche questa tutela.
La FLC CGIL naturalmente si opporrà con tutte le sue forze per ottenere significativi cambiamenti della manovra durante l'iter parlamentare. La mobilitazione e gli scioperi (12 dicembre nei settori privati, 19 dicembre nei settori pubblici) indetti da Cgil, Cisl e Uil è la risposta immediata per dare voce al mondo del lavoro, ai pensionati e ai giovani, i più tartassati dalla durezza di questi provvedimenti. Chiediamo modifiche radicali: rigore e crescita sì, ingiustizie no.
- decreto legge 201 del 6 dicembre 2011 disposizioni urgenti per la crescita l equita e il consolidamento dei conti pubblici
- volantino unitario sindacati scuola su sciopero 19 dicembre 2011
- comunicato unitario sindacati universita e afam su sciopero 19 dicembre 2011
- comunicato unitario sindacati ricerca su sciopero 19 dicembre 2011
- comunicato unitario sindacati scuola non statale su sciopero 19 dicembre 2011