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A chi tocca la Moratti, botte

Pubblichiamo, integralmente, l'articolo di Roberto vecchioni, apparso sul quotidiano "L'Unità" di oggi 6 dicembre 2002.

06/12/2002
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Pubblichiamo, integralmente, l'articolo di Roberto vecchioni, apparso sul quotidiano "L'Unità" di oggi 6 dicembre 2002.

Roma, 6 dicembre 2002

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Caro Direttore,

leggo sulla prima pagina del Piccolo di Trieste la cronaca, non dubi­to fedele, di una giornata di antidemocrazia bieca, serpeggiante, ipocrita, presuntuosa e supponente e fin qui siamo più o meno nella norma, coi tempi che corrono. Ma quel che peggiora tutto sono il luogo, l’occasione, il motivo e chi ci è andato di mezzo. I fatti, come si leggono: un gruppo di studenti appende all’Ente Fiera di Udine uno striscione per dissentire sulla visita della «ministra» Moratti. Cito la scritta perché non sorgano equivoci: «Scuola di padroni, via la ministra, dimissioni».

Roba da educandi politici, semplice, schietta, inoffensiva, papale papale e correttissima. I ragazzi hanno avuto il permesso di appendere lo striscione; i ragazzi hanno tutti in mano l’invito della Regione per gli stati generali, sono iscritti a parlare non rumoreggiano più del lecito, non hanno addosso né temperini, né pistole ad acqua, non brandiscono bastoni né, si fa per dire, strani estintori.

La «ministra» comincia a parlare e la polizia leva di mezzo lo striscione («abbiamo permesso di esporlo ma non si era detto quanto»); la polizia invita alcuni ragazzi a uscire dalla sala. Loro, ingenui, o ignari, o soltanto increduli escono e vengono menati. Non so come, non so quanto. Non mi importa se son state botte (come loro dicono) o solo schiaffi. Interrogato il questore Celentano dà una risposta da fratelli Marx: «C’è forse qualcuno in ospedale? E allora?».

Ci sono le foto, c’è un filmato. C’è una ragazza presa per i capelli e trascinata via come fosse un’invasata.

Inutile riparlare di Genova: l’ha fatto già bene gente assai più qualificata di me. Ma qui non si era a Genova duran­te il 68: qui eravamo in una tranquilla sala di una tranquilla città, dove invece di accogliere la «ministra» con striscioni del tipo: «Buon Natale e benvenuta signora maestra», si è preferito dal profondo del cuore scriverle «Tornatene al paesello», e nemmeno. «vaffanculo», che sarebbe stato temerario nonché di poca classe. .

Mi spaventa, m’inorridisce questa rea­zione poliziesca sul niente, perché allora sì vien da pensare che dietro tutto ci sia una strategia disposta, preordinata (e anche spalleggiata?) che parte dall’alto e opera sulla nostra polizia, e che quindi siamo ben oltre le «prove tecniche di regime».

Questi ragazzi avevano come armi solo parole, parole dette, parole scritte: sanno di poterle e doverle usare appena si apra un varco, uno spazio, soprattutto oggi che i secondi bruciano e i minuti sono raramente concessi nei luoghi d’ascolto, d’opinione.

Questi ragazzi rappresentavano, in perfetta coerenza col dizionario, la voce «democrazia» che significa libertà di dissenso e per giunta pacifica.

Ripeto: non importa l’entità fisica della reazione della polizia (leggi «ospedale»), conta l’atteggiamento, la prevaricazione, la giustificazione che l’ufficialità di un ruolo dà a se stessa, al proprio atto di forza. Per assurdo morire e prender botte da chi ti deve lasciar manifestare sono cose molto simili, molto vicine.

In 35 anni di scuola non ho mai visto un insegnante picchiare uno studente, per quanto fosse incanaglito, strafottente, persino in torto marcio.

E da oltre trent’anni non ho più visto la polizia farlo.

Gli studenti, i ragazzi non si toccano. E soprattutto non si toccano mai quando parlano, urlano, dissentono,. scrivono, sbeffeggiano, ridicolizzano, argomentano, soffrono e ricambiano. I ragazzi, tutti i nostri ragazzi devono avere la certezza di poterlo fare; non esiste giustificazione qualunquistica a questa tragica pagliacciata del potere (li abbiamo calmati un po’», «due sberle gli fan solo bene»); le mani usatele in casa vostra, tra voi, se vi fa tanto piacere.

Bene hanno fatto i quaranta insegnanti che hanno lasciato la sala. Se l’avesse lasciata subito, una volta appreso il fatto, anche la Moratti, forse in qualche sparuta scuola, in qualche angolo d’Italia, potrebbe ogni tanto apparire lo striscione: «Buon Natale, benvenuta signora maestra».