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Autonomia: Cgil, i diritti non possono essere variabili regionali

Una nota Cgil in merito alla discussione in Consiglio dei Ministri sulle intese concernenti l’autonomia differenziata

09/07/2019
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Roma, 8 luglio - “In attesa di poter vedere i testi, più volte annunciati e tutt’ora ignoti al dibattito pubblico per esprimere tutte le necessarie valutazioni di merito sull’ampio spettro di materie in discussione, non possiamo che considerare irricevibile ogni ipotesi che metta in discussione la garanzia dell’uniformità dei diritti civili e sociali dei cittadini e l’unitarietà dei principi fondamentali, a cominciare dall’unità del sistema di istruzione.” È quanto dichiara la Cgil in una nota in merito alla discussione in Consiglio dei Ministri sulle intese concernenti l’autonomia differenziata ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

“Siamo di fronte a un percorso che, se portato a termine - sottolinea la Cgil -modificherà radicalmente l’assetto istituzionale del Paese, creando disparità inaccettabili che aggraveranno le disuguaglianze esistenti. Siamo convinti che la Repubblica, invece, debba porsi l’obiettivo, non più differibile, di affrontare con soluzioni collettive e condivise le criticità presenti in Italia: l’efficienza, il benessere, l’uguaglianza dei diritti fondamentali non possono essere beni limitati, e la risposta a problematiche comuni a tutto il Paese non può essere l’attribuzione di maggiore autonomia ad alcuni territori, lasciandone indietro altri”.

In quest’ottica, prosegue la Confederazione “è necessario adottare una legislazione nazionale che definisca leggi inderogabili sui principi fondamentali e garantisca, in tutti gli ambiti, i Livelli Essenziali delle Prestazioni, con la realizzazione di un sistema perequativo che assicuri ai territori le risorse necessarie a raggiungere gli obiettivi di benessere ed equità sociale per tutti i cittadini. I diritti civili e sociali, e i servizi pubblici non possono essere variabili regionali”. “Infine - conclude la Cgil - è inaccettabile la messa in discussione dell’unità della contrattazione nazionale”.