Dall’IRES il rapporto sulla congiuntura economica
Sintesi e commento del documento
Sul sito della CGIL si trova il documento dell'IRES 2005 sulla congiuntura economica. L’IRES (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali) è una struttura della CGIL che fornisce regolarmente all’organizzazione studi ed approfondimenti su tutti i temi economici che sono di interesse per il Sindacato.
Ci sembra interessante darne qui una breve sintesi anche perché i dati su cui il rapporto è basato, tutti naturalmente ufficiali, sono gli stessi sulla cui base si svolgono le nostre riflessioni sul ruolo della ricerca e dell’innovazione.
Il documento IRES parte dall’analisi dello scenario mondiale e mostra come in una economia globale che avanza con tre diverse velocità, quella dei paesi asiatici, quella americana e quella europea, l’Italia abbia in questi ultimi anni perso la possibilità di un aggancio alla ripresa dello sviluppo mondiale che pure ci si poteva attendere sulla base delle esperienze passate. Si determina quindi uno scenario completamente nuovo in cui molti degli indicatori presi in esame indicano come la crisi italiana non possa più essere considerata congiunturale, cioè legata agli andamenti ciclici dell’economia, ma abbia ormai assunto la caratteristica di crisi strutturale.
La produzione industriale diminuisce costantemente da quattro anni e ciò vale soprattutto nella grande industria, primo fra tutti il settore manifatturiero, ma anche nella piccola industria le cose non vanno bene. Anche l’aumento dei dazi all’export annunciati dalla Cina (e nemmeno la rivalutazione dello yuan, come notato da autorevoli economisti in altre sedi) non produrrà da solo, ad esempio, benefici stabili per i settori tessile e dell’abbigliamento se non verranno prese iniziative da parte delle imprese per un effettivo rilancio della produzione.
L’industria rimane tutt’ora centrale nello sviluppo del nostro paese. Su tale tema la CGIL ha a lungo dibattuto e significativo è, tra gli altri, il contributo al riguardo di Luciano Gallino che tra le altre osservazioni ricorda, facendo riferimento a documenti della Commissione Europea, che quasi i due terzi del settore dei servizi è in effetti servizio all’impresa. Se quindi, per “l’erronea convinzione che nell’economia basata sulla conoscenza e nella società dell’informazione e dei servizi l’industria manifatturiera non svolga più un ruolo essenziale…” che molti responsabili politici hanno, tali industrie dovessero scomparire, il danno ricadrebbe prima di tutto proprio sul settore dei servizi.
Anche gli altri indicatori presi in esame dall’IRES non permettono grandi ottimismi. Le vendite, sia al consumo che all’ingrosso, continuano a diminuire, il minor consumo è la vera causa della diminuzione della crescita dell’inflazione, gli aumenti dei costi sono attualmente lenti, ma partono da un livello che era molto aumentato negli scorsi anni e creano, quindi, grosse difficoltà alle famiglie italiane che la crescita ridotta delle retribuzioni dello stesso periodo non è riuscito a cancellare.
Un discorso attento viene poi fatto sull’occupazione: questa è fortemente diminuita nella grande impresa, ma appare in lieve aumento globalmente. Ciò però avviene mentre la produzione continua a scendere e già questo fatto dovrebbe far riflettere. Ma una considerazione più attenta di questi dati, fatta dallo stesso ISTAT, mostra che l’aumento dell’occupazione avviene principalmente per l’incremento dei cittadini stranieri e sembra più l’effetto della regolarizzazione di forze lavoro che già erano presenti nel paese che non di nuovi lavoratori. Estremamente preoccupante è poi il progressivo scoraggiamento nella ricerca del lavoro soprattutto nel Mezzogiorno. E’ questo che permette di dire al Governo che la disoccupazione diminuisce. Aggiungiamo che occorrerebbe completare la riflessione considerando di quale nuovo lavoro si tratti e quanto sia diffuso il lavoro precario.
Il documento si conclude con l’elenco dei fallimenti di questo governo:
· Spese della Pubblica Amministrazione cresciute più del quadriennio precedente,
· Investimenti crollati,
· Import e export rallentati malgrado lo sviluppo mondiale,
· Risultati della gestione delle imprese in leggerissima ascesa.
Le prime indicazioni formulate per il futuro sono:
· far crescere velocemente il numero di imprese medie (oggi solo il 2% del totale), perché queste resistono meglio alle difficoltà, si radicano nel territorio e sono meno tentate dalle delocalizzazioni.
· Semplificare la burocrazia sia locale che centrale.
· Porre in relazione più stretta i centri di ricerca pubblici, le università ed i centri di formazione.
· Coordinarsi con l’Europa sia per iniziative industriali che di ricerca.
Tutto ciò implica evidentemente interventi coordinatati sull’insieme degli elementi di ciascuna filiera produttiva: non si tratta di intervenire per sostenere congiunturalmente questa o quella azienda in momentanea crisi, ma di progettare una ristrutturazione complessiva dei prodotti e dei servizi ad essi connessi.
Queste riflessioni sembrano globalmente interessanti per quanti, sia a livello delle singole regioni che a livello nazionale, stanno ponendosi il problema di operare per invertire la china del declino su cui il nostro paese si è incamminato. Le scelte programmatiche che ci aspettiamo dalle regioni nei prossimi mesi non potranno non tenere in debito conto le precedenti considerazioni.
Roma, 26 luglio 2005