Insegnare stanca
Pubblichiamo integralmente l'articolo apparso su Rassegna Sindacale n. 39 del 29 ottobre 2002
Milano - Un'analisi delle domande per inabilità
di Anna Avitabile
Pubblichiamo integralmente l'articolo apparso su Rassegna Sindacale n. 39 del 29 ottobre 2002
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"E’ la categoria “pubblica” più a rischio di essere colpita da una patologia psichiatrica. Tra gli insegnanti, l’incidenza dei disturbi di natura psichica o psicosomatica è pari a due volte quella che investe gli impiegati, due volte e mezzo rispetto al personale sanitario e tre volte rispetto agli operatori del settore (commessi, collaboratori tecnici e scolastici, cuochi, custodi ecc.). Questa la conclusione cui perviene lo studio “Getsemani”, il primo sul tema, condotto sull’analisi delle domande per inabilità al lavoro rivolte nel corso degli ultimi dieci anni dai dipendenti pubblici all’Asl città di Milano. Si tratta di 3.049 casi clinici (che riguardano 696 insegnanti, 596 impiegati, 418 sanitari, 1.348 operatori), analizzati in base a età, sesso, attività professionale, patologie accertate, giudizio finale della commissione d’esame. “Abbiamo rilevato – sottolinea Vittorio Lodolo D’Oria, coordinatore della ricerca – che la frequenza di questi disturbi tra i docenti è indipendente dal loro sesso e dal tipo di scuola in cui esercitano la professione. Ci siamo quindi focalizzati sui fattori professionali che predispongono a questi disturbi e abbiamo indicato alcune ipotesi d’intervento per prevenire e contrastare l’insorgere di agenti stressogeni”.
Un fenomeno reale. Gli insegnanti rappresentano il 18 per cento degli iscritti alle casse pensioni Inpdap, ma le richieste d’inabilità provenienti da questa categoria risultano essere il 36,6 per cento delle domande complessive. Quasi la metà delle domande del personale docente è motivato da patologie psichiatriche, contro un’incidenza relativa per le altre categorie di dipendenti pubblici che va dal 16 al 35 per cento (vedi grafico). I disturbi sembrano colpire in egual misura gli insegnanti di ogni ordine e grado, con l’eccezione del livello universitario, dove si è avuto un solo caso (un ricercatore) nel corso dei dieci anni d’osservazione. La conferma che si tratti di un fenomeno reale, e non di un tentativo di scappatoia dall’attività professionale, viene dal numero di domande accolte per cause psichiatriche: il 75,1 per cento degli insegnanti sono stati ritenuti inidonei alla mansione esercitata, contro un dato medio nelle altre categorie di lavoratori del 36 per cento. Non solo. Ancora per quel che riguarda i dati relativi al personale docente, si ricava che la commissione medica ha decretato l’allontanamento permanente dalla professione nel 51 per cento dei casi e per un periodo limitato nel tempo nel 33 per cento, mentre una quota del 17 per cento è stata ritenuta inabile a qualunque altra attività lavorativa.
Allontanati e puniti. Un’altra dinamica segnalata dallo studio è lo stato d’isolamento nei casi in cui le richieste d’accertamento siano state avviate a seguito di segnalazioni o contestazioni da parte di studenti, genitori, colleghi, direzioni scolastiche. In questa reazione, viene a verificarsi una situazione di “mobbing atipico”, in quanto, non solo tutto l’ambiente di lavoro partecipa all’azione d’attacco nei confronti della persona in difficoltà, ma anche l’utenza viene coinvolta nelle iniziative d’isolamento, la cui incisività risulta proporzionale alla gravità della patologia manifestata. Esattamente l’opposto, si fa notare nella ricerca, rispetto a quanto sarebbe necessario al processo di terapia, in cui tutti gli attori presenti sulla scena dovrebbero essere stimolati e messi in grado di svolgere un ruolo positivo.
La solitudine dell’insegnante. Se nell’attività lavorativa si manifestano fattori di stress reiterati e protratti nel tempo, e questi ultimi sono incrociati con una bassa capacità reattiva del soggetto che li subisce, e se nell’ambiente circostante manca qualunque tipo di supporto per trovare le risorse atte a contrastarli, può succedere che dai primi sintomi di disagio si passi rapidamente a situazioni che si avvitano su se stesse. Si tratta della sindrome del burnout (vedi articolo in basso), letteralmente “bruciati via”, che si manifesta con affaticamento fisico ed emotivo, atteggiamento apatico e distaccato nei rapporti interpersonali, sentimento di profonda frustrazione. Tra le categorie a rischio, di frequente viene indicata nella letteratura scientifica internazionale proprio quella degli insegnanti. Il pregio della ricerca milanese è quello di aver condotto per la prima volta un’analisi statistica su di un insieme di casi clinici di una certa consistenza. “Sono due - afferma il sociologo Alessandro Cavalli - gli ingredienti ricorrenti nei mestieri a rischio burnout: l’esistenza di un forte squilibrio di potere tra chi esercita la professione e chi ne è il fruitore e la probabilità di essere esposti al fallimento della propria azione, perché il suo esito dipende in larga parte da fattori esogeni. Il lavoro dell’assistente sociale, chiamato a gestire situazioni spesso insolubili, è in questo senso emblematico. Nel caso degli insegnanti che operano nel nostro sistema scolastico vi sono alcuni specifici fattori aggravanti. Da un lato, le modalità con cui si seleziona il personale, che non tengono in alcun conto della fragilità psichica dei candidati. Dall’altro, la carenza di formazione professionale finalizzata a costruire le risorse interne dei soggetti a rischio e l’assenza di periodi di tirocinio”.
Le condizioni ambientali in cui si svolge la professione del docente, più che quelle soggettive, vengono invece indicate da altri osservatori come cause principali del disagio. Si citano il numero crescente di ragazzi stranieri che non conoscono la nostra lingua, il taglio di attività di supporto, la composizioni di classi con oltre 30 studenti, la delega totale alla scuola dei problemi educativi. “Ciò che appare più drammatico nella ricerca – osserva Wolfango Pirelli, segretario generale della Cgil scuola Lombardia – è la situazione d’isolamento in cui si trova l’insegnante in difficoltà. È dunque prioritario potenziare la formazione e predisporre strumenti d’aiuto e di sostegno al gruppo che opera in situazioni critiche”. "
Roma, 23 ottobre 2002