Primo Settembre
Di seguito l’intervista al Segretario generale della FLC Cgil pubblicata sul n. 29 del settimanale CARTA
Di seguito l’intervista al Segretario generale della FLC Cgil pubblicata sul n. 29 del settimanaleCARTA.
L’intervista è contenuta in un ampio servizio che, indagando sui guasti che i decreti attuativi della Legge Moratti stanno provocando nelle scuole, riflette sullo scenario nel quale si riaprirà il prossimo anno scolastico.
Roma, 23 luglio 2004
Il primo settembre potrebbe essere per molti studenti, le loro famiglie insegnanti e anche per i cittadini, una data che non dimenticheranno. Meglio arrivarci preparati, ricostruendo con il segretario della Flc (Federazione lavoratori della conoscenza, nuova sigla della CGIl scuola, Università e ricerca) Enrico Panini, lo scenario: in particolare per scuola dell’infanzia, elementare e media che saranno investite dalla riforma. Con una premessa sulle recenti elezioni che aprono, dice Panini, spiragli se non di ottimismo, quantomeno di riflessione.
La legge Moratti – chiarisce Panini – è inemendabile, ma si muove su un percorso accidentato per molte ragioni. Una delle quali è l’esito elettorale delle amministrative. E’ stupefacente che nessun commentatore abbia capito il peso della scuola sui risultati elettorali, è uno sbaglio non aver valutato quanto hanno pesato i genitori nei comuni dove ha preso voti chi ha dato maggiore peso all’istruzione. Non a caso, nel voto europeo, dove di scuola si è parlato in modo tradizionale, il risultato è stato diverso. Ed è certamente una sconfitta che la costituzione europea non dedichi una sola parola a istruzione, università e ricerca.
Cosa ci dobbiamo aspettare il primo settembre?
Ci potrebbero essere due scenari. Nel primo il governo decide di andare avanti a testa bassa con i provvedimenti attuativi della legge, facendosi forte del fatto che la questione non è entrata nella verifica e che nessuno degli alleati ha chiesto ripensamenti. Ma questo scenario “estremo” si scontrerebbe con il cambiamento dei rapporti di forza nella conferenza stato-regioni dopo il voto.
Una seconda strada potrebbe essere più soft: non tornare indietro né accelerare. Credo che sarà questa, anche perché i provvedimenti hanno ricevuto una tale opposizione, nelle scuole, da rendere una impossibilità pratica il procedere.
Questo lo scenario generale. Intanto, un numero consistente di scuole dell’infanzia, elementari e medie al momento non ha dato attuazione al alcun provvedimento della legge 53: non ha ridotto l’orario né definito il “tutor”. Ci sono però scuole che invece l’hanno fatto, in tutto o in parte, e scuole che hanno sospeso il provvedimento. Ho l’impressione che la questione si riproporrà fortemente il primo settembre.
Vediamo cosa c’è ai nastriu di partenza. Su un punto fondamentale dell’ideologia del ministro Moratti il governo segna una netta battuta di arresto: il tutor. CAvallo di battaglia di un modello, di una cultura, il Ministro ha ora dovuto scrivere all’Aran (l’agenzia del governo per la contrattazione) ammettendo che il “tutor” non lo può decidere lei ma è materia contrattuale. Dopo mesi nei quali ha tentato di imporsi con atti amministrativi, ora è dovuta tornare indietro.
Questo significa che tutte le scuole devono aspettare gli esiti di una trattativa che no nsarà un “lodo” e alla quale ci presentiamo affermando la più totale contrarietà a una funzione gerarchica che assorbe tutte le funzioni degli altri insegnanti.
Secondo punto, l’offerta formativa. Il decreto attuativo dice che le prime classi delle elementari, delle medie e della scuola dell’infanzia scenderanno a 27 ore, più ore opzionali.La decisione è stata respinta al mittente da molte scuole che si sono fatte forti dell’autonomia e perciò legittimamente possono confermare la precedente offerta formativa. Non è un braccio di ferro politico ma una ovvietà: se riduci il numero di ore e gli insegnanti, peggiori le condizioni e crei una situazione che non potrai cancellare con un colpo di spugna.
Terza questione, gli organici. Non si tratta più dei tradizionali “tagli” di stagione, ma di uno strumento pratico per realizzare la Legge 53. Il meccanismo è semplice: si tagliano gli insegnanti e ti dicono che devi fare le nozze con i fichi secchi. Vuoi più ore? Arrangiati.Stessa cosa per i non docenti: se non c’è personale per far funzionare la scuola mattina e pomeriggio, non c’è tempo pieno. Alcune migliaia di persone che dal primo settembre non ci saranno più.
Uno scenario catastrofico, dunque.
Ma c’è un antidoto, ed è la rete che si è sviluppata nei mesi scorsi dappertutto: insegnanti, genitori, il sindaco con la fascia tricolore e le forze del territorio.Tutti insieme hanno capito che il futuro della scuola non si gioca solo a scuola ma mette in campo la qualità di un territorio, è un problema dell’intera comunità.
Nell’autunno inverno scorso abbiamo fatto cinque manifestazioni nazionali e un migliaio locali e io credo che se da un lato occorre resistere e sconfiggere il più berlusconiano dei progetti del liberismo, dall’altro dobbiamo vigilare sulle tossine che può introdurre. Gli effetti potrebbero essere pericolosissimi e già si vedono grandi spinte autoritarie, riduzione di spazi di democrazia e azioni di genitori di destra che fanno pressioni sui docenti. La scuola sta diventando un terreno di scontro quotidiano impensabile, in nome del fatto che ciascuno pensa di avere diritto di pretendere la scuola che ha in mente. E’ anche maturo il tempo do ragionare di una diversa idea di conoscenza. Mi preoccupa che si arrivi a una fase nella quale non è chiaro il progetto o che si possa tornare a tre anni fa.
Parli di un nuovo governo di centrosinistra?
Non esiste che si possa ragionare di un nuovo sistema pubblico senza coinvolgere, a pieno titolo, tutti coloro che sono stati protagonisti, ed è altrettanto importante saper coinvolgere passioni e culture diverse. Non si possono più chiudere le porte: questa è una ventata che diventa elemento costitutivo della scuola, e della stessa partecipazione democratica. C’è, infine, il problema delle risorse: una ipotetica nuova maggioranza si troverebbe una situazione sull’orlo del disastro. Occorre che ci siano segnali sugli investimenti perché il problema è che siamo ormai fuori dall’Europa. E sai qual è il problema tra i problemi? Quello degli adulti. Ci sono impressionanti dati crescenti di analfabetismo (che vuol dire incapacità di leggere frasi complesse, compilare un bollettino ecc..) dell’ordine del 30 – 35 per cento tra gli adulti tra i 25 e i 60 anni.
Scuola dell’infanzia asfittica, elementare senza più fisionomia. E alla media?
Tempo prolungato che segue lo stesso destino del tempo pieno, diventando doposcuola. C’è poi la questione della scelta precoce, che determinerà anche la solo apparente “calma piatta”della secondaria. Nella zona grigia dell’anno in meno di obbligo, che diventa un anno “vuoto” accadrà ciò che già accade e cioè che i ragazzi andranno a lavorare. Li perdi. L’anno scorso, primo anno della riduzione dell’obbligo, diverse migliaia di iscrizioni non sono state confermate e quei ragazzi andati da nessuna parte: non a scuola, né nella formazione professionale, né in altri circuiti. Da una recente indagine risulta che solo in Lombardia sono stati 5 o 6 mila quelli che non hanno confermato il passaggio nella secondaria superiore.
E’ come se il modello del nord-est fosse diventato nazionale, è come se la scuola volutamente disincentivasse: quell’anno “grigio” è la “selezione naturale”.
E quest’anno, anche se i dati ancora non ci sono, il tasso, il tasso di mancato passaggio nella prima classe della secondaria sarà molto, molto più consistente.