Mobbing a scuola?
Secondo studi recenti, i lavoratori vittime del mobbing sono in crescente aumento specie nel settore dell’impiego pubblico e, come prevedibile, anche il mondo della scuola e dell’Università non sono rimaste estranee a detto fenomeno.
Occorre prestare attenzione, in quanto non ogni comportamento, seppur vessatorio del superiore gerarchico può essere considerato mobbing, dal momento che secondo quanto affermato sino ad ora, sia da dottrina che dalla giurisprudenza dominante, affinché si possa parlare di mobbing, occorre che le vessazioni siano ripetute nel tempo (da almeno 6 mesi) e che tra le azioni o le omissioni poste in essere dal datore di lavoro e la patologia insorta nel lavoratore cd. mobbizzato sussista un nesso di causalità diretta.
La sentenza che di seguito pubblichiamo è stata emessa, in data 1.02.2005, dal Tribunale di Agrigento, in funzione di giudice del lavoro, e riguarda la condanna di un Dirigente di un Istituto Scolastico al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (danno biologico, morale ed esistenziale) per la condotta mobbizzante tenuta dallo stesso nei confronti di un proprio dipendente con funzione di DSGA.
Il Giudice del Lavoro, dopo aver ripercorso, brevemente, la storia dell’istituto del mobbing ed i suoi elementi essenziali, ha accertato che la condotta posta in essere dal Dirigente Scolastico è stata atta a concretare la figura del mobbing, così come definita nell'ambito della psicologia del lavoro (tra gli altri Harald Ege) come “ una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente e in costante progresso all’interno del luogo di lavoro, in cui gli attacchi reiterati e sistematici hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e/o la professionalità della vittima”.
Il giudice, inoltre, riconoscendo, peraltro, l'elemento materiale del mobbing ha ritenuto le seguenti condotte quali attacchi mobbizzanti reiterati nel tempo:
a) attacchi ai contatti umani, con continue critiche alla prestazione lavorativa, ripetute minacce scritte (irrogazione di sanzioni disciplinari), accuse ingiustificate, frasi ingiuriose e diffamatorie;
b) dequalificazione sul piano delle mansioni, a causa della pressante ingerenza arbitrariamente esercitata nella sfera di autonomia operativa, sino ad arrivare alla privazione degli strumenti di lavoro;
c) attacchi contro la reputazione: false voci fatte circolare (accuse di boicottaggio, richiesta di visita ispettiva per farne accertare le responsabilità) e offese rivolte in presenza dei colleghi.
A seguito di detto accertamento il Giudice del lavoro, ha condannato il Dirigente Scolastico in questione per il danno ingiusto procurato in violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza in ambito extracontrattuale (ex art. 2043 e 20059 c.c.) riconoscendo anche il diritto al risarcimento del danno morale secondo l’interpretazione emersa nelle sentenze della Corte di Cassazione (nn. 8827 e 8828 del 31/5/2003) secondo la quale nelle relazioni interpersonali la tutela risarcitoria non è più ristretta al danno morale (riparabile anche quando non derivi da un fatto penalmente rilevante), ma ad esso si aggiunge la figura del danno esistenziale, che si presta a salvaguardare il profilo relazionale-sociale dell’individuo, che viene così protetto in tutte le attività e manifestazioni espressive della personalità (art.2 Cost.).
Roma, 18 marzo 2005