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Nelle Università e negli Enti di Ricerca la sicurezza sul lavoro è un optional?
L'applicazione del decreto sulla salute e sicurezza negli Enti Pubblici di Ricerca e nelle Università
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“Ricercatore, una vita spericolata. La sicurezza non entra in laboratorio” così un quotidiano nazionale titola un articolo in cui, raccontando lo sfogo di una ricercatrice precaria di chimica, punta i riflettori su un antico male delle Università e degli Enti di Ricerca: le norme sulla salute e sicurezza, di fatto, non sono applicate nei laboratori scientifici.
Sono passati esattamente 10 anni dall’emanazione del decreto 363/98 che applicava nelle università il decreto legislativo 626/94, ci sono voluti quattro anni e scontri furibondi con il Ministero dell’Università per ottenere il decreto in cui, fra l’altro, è previsto un articolo“sugli obblighi e le attribuzioni del responsabile dell’attività didattica e di ricerca”, voluto fortemente dalla CGIL proprio per responsabilizzarli nei confronti di studenti, dottorandi e di tutti quelli che lavorano nei laboratori.
Sono cambiate molte cose nella società ma non le morti sul lavoro. Grazie all’impegno della CGIL e alla volontà del Governo Prodi è stato modificato il Testo Unico sulla salute e sicurezza nel lavoro, inasprendo le pene per chi viola le norme; si è giustamente pensato ai cantieri, agli appalti, alle fabbriche, ma non ai laboratori di ricerca che evidentemente violano le norme sulla sicurezza e sull’utilizzo, in questo caso, di sostanze chimiche.
Sono state spese ingenti risorse per “mettere a norma” le università e gli enti di ricerca ma poi nell’utilizzo quotidiano i laboratori diventano pericolosi: sui pavimenti ci sono grovigli di fili, le sostanze chimiche sono maneggiate e conservate senza sicurezza, e spesso si scaricano nei lavandini dei laboratori. Ma perché questo succede? In molti casi è la mancanza di una cultura della sicurezza, l’abitudine ad utilizzare sostanze pericolose, trasmessa fra le generazioni, fa abbassare la guardia;spesso è la necessità di non fermare gli esperimenti, in una malintesa idea di efficienza e rapidità nella ricerca.
Eppure gli strumenti ci sono: i rappresentanti dei Lavoratori per la sicurezza sono eletti o designati in tutte le università e gli Enti di Ricerca ed hanno compiti e prerogative precise, è a loro che si dovrebbero rivolgere i lavoratori, la legge prevede corsi di formazione sulla salute e sicurezza per i lavoratori, le visite mediche periodiche, e tutta una serie di norme per l’utilizzo e il trasporto di sostanze pericolose.
E’ banale dire che la legge va applicata, chi non lo fa non ha giustificazioni. La disattenzione e la superficialità non mettono a rischio solo la salute di chi opera direttamente ma anche di tutti quelli che lavorano in quell'istituto o laboratorio, delle donne delle pulizie che sono sicuramente l’anello più debole, degli altri dipendenti, degli studenti, dei ricercatori precari.
La FLC Cgil si è sempre spesa per una corretta applicazione del d.lgs 626, ha fatto battaglie locali e nazionali e continuerà a farle, si impegnerà sempre di più affinché il personale, gli studenti, i precari abbiano il diritto e la serenità per denunciare inadempienze.
Roma, 7 maggio 2008