Parere del Ministero della Funzione Pubblica sulla durata dei contratti flessibili: Brunetta torna ancora una volta sui suoi passi
Senza il processo di stabilizzazione la normativa sulla limitazione dei contratti flessibili diventa inapplicabile: ne prende atto anche Brunetta.
Dopo l’interpretazione contenuta nel parere al comune di Ancona su cui la nostra organizzazione aveva già espresso delle riserve, essendo chiaramente in contrasto con una precedente direttiva (la n° 3 del 2008), oggi la Funzione Pubblica ritorna sulla spinosa materia dei contratti flessibili.
Infatti, la scelta di bloccare il processo di superamento del precariato non poteva che avere effetti pesanti sulla stessa funzionalità degli uffici. Se non si può stabilizzare né mantenere in servizio i precari è evidente che il problema non è solo dei lavoratori ma anche dell’amministrazione.
Oggi la funzione pubblica inventa l’ennesimo escamotage: il limite dei 3 anni nel quinquennio per (introdotto dal dl 122 che ha modificato per l’ennesima volta il testo dell’articolo 36 D.Lgs 165 2001) opererebbe “solo nel caso in cui il soggetto sia stato utilizzato con più tipologie contrattuali di tipo flessibile diverse ferma restando per la medesima tipologia di contratto la disciplina sulla durata prevista dalla normativa specifica”. In questo parere si afferma che la norma serve a colpire solo il fenomeno definito patologico della migrazione tra contratti diversi finalizzata a superarne il tetto massimo temporale.
Inoltre, nel medesimo parere si ricorda che la disciplina generale dei contratti a termine (come modificata nel dl 122 all’articolo 21) prevede la possibilità per la contrattazione collettiva di derogare ai limiti di durata previsti dalla legge.
La conseguenza dal nostro punto di vista è chiara sia sui contratti di collaborazione che sui contratti a termine.
I primi non hanno, notoriamente, un limite di durata ma in virtù dell’articolo 7 comma 6 del D.Lgs 165 2001 come modificato dal dl 112 sono vincolati alla natura della prestazione di lavoro riferibile alle funzioni che si svolgono e all’oggetto del contratto.
Lo stesso riferimento al titolo di studio introdotto dalla finanziaria 2008 mitigato dal dl 112 oggi è rimesso in discussione dall’articolo 15 del DL 1441 quater approvato dalla camera in cui si prevede esplicitamente che il requisito della laurea specialistica non opera oltre che per i casi già previsti (professionisti e maestri artigiani) anche per attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica, di ricerca e per i servizi di orientamento
Ciò significa che i contratti di collaborazione dovranno rispettare (come peraltro questa organizzazione aveva già fatto notare) solo le limitazioni previste dalla normativa che li disciplina e il tetto del 35% della spesa del 2004 se sono attivati su fondi interni.
Per quanto riguarda i contratti a termine il CCNL della ricerca già prevede la possibilità che arrivino ad una durata di 5 anni derogando alla disciplina generale mentre per l’università la norma è stata modificata ma nulla vieta deroghe nella contrattazione integrativa in quanto previste (purtroppo) dalla disciplina generale.
Gli assegni di ricerca sono regolati da una normativa propria e non possono essere assimilati ai contratti flessibili così come citati nell’articolo 36.
In più lo stesso parere al comune di Ancona aveva già affermato che un concorso pubblico per un nuovo contratto rappresentava una via d’uscita ai vincoli previsti in quanto non sarebbe possibile vietare a nessuno di partecipare ad una pubblica selezione.
L’esito è chiaro: da una parte si consente alle amministrazioni di continuare a svolgere le loro funzioni istituzionali su cui com’è noto sono impiegati i precari e dall’altro si legittima a vita la condizione di sfruttamento e subalternità.
Roma, 2 dicembre 2008