Parità scolastica e rapporti di lavoro
Le alchimie del MIUR
Con un artifizio amministrativo tipico di un “prestigiatore” della Corte di Bisanzio il MIUR ha diramato una nota - n. prot. 11477 del 6 dicembre 2005, a firma del Direttore Generale per gli ordinamenti dott. Silvio Criscuoli e indirizzata a tutti i Direttori Generali Regionali, -con la quale viene “sterilizzato” l’obbligo da parte dei gestori di scuole paritarie di applicare “contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore” di cui alla lettera h) del comma 4 della legge 62/2000 sulla parità scolastica.
In particolare si invitano, in attesa di non si sa quali chiarimenti e da parte di chi, le Direzioni Generali Regionali a non adottare “provvedimenti di revoca della parità scolastica o di diniego di riconoscimento di nuove parità che trovino il loro fondamento esclusivamente sulla natura dei rapporti di lavoro che i gestori instaurano con il personale docente”.
Si tratta di un atto inquietante che di fatto consente alle solite e ben note scuole paritarie di continuare ad operare in perfetta illegalità nei confronti del personale docente, ata e direttivo negando loro il diritto costituzionale ad avere un CCNL e un salario adeguato.
Praticamente viene concesso “un condono contrattuale” senza limitazioni temporali e senza il vincolo di portare a “emersione” le condizioni di lavoro del personale. Cosicché, le solite scuole paritarie continueranno a utilizzare impunemente il lavoro irregolare e sottopagato.
Non solo! Si tratta, anche, di un atto irresponsabile in quanto alimenta un dumping contrattuale a danno di quelle realtà scolastiche paritarie più sane che applicano regolarmente al proprio personale i CCNL di settore.
Anche sul piano formale l’atto in questione è fortemente discutibile. Non è ammissibile, sotto il profilo giuridico, che un atto di indirizzo possa modificare una norma legislativa. Appare con tutta evidenza che l’Amministrazione, per motivi a noi sconosciuti, abbia compiuto una forzatura giuridica.
Le motivazioni addotte, infatti, sono del tutto pretestuose e poco credibili. Non corrisponde al vero l’assioma che la L. 30/2003 e il suo successivo decreto legislativo applicativo - DLGS 276/2003 – abbiano introdotto tipologie contrattuali non riconducibili con certezza alle due tradizionali categorie del rapporto di lavoro subordinato e autonomo. Anzi, è vero l’esatto contrario! Semmai sono ben altri i limiti, le discrasie e i danni che la legge 30 ha prodotto e sta producendo in materia di mercato del lavoro anche su questo settore.
Il lavoro parasubordinato, ovvero le prestazioni coordinate e continuative ancora possibili, le prestazioni occasionali e il lavoro a progetto, viene ricondotto dalla legge a tutti gli effetti – previdenziali, fiscali e normativi – nell’alveo del lavoro autonomo e come tale viene trattato.
Lo stesso lavoro a progetto, che rappresenta un’evoluzione giuridica delle coordinate e continuative, ha sostituito quest’ultime allargandone la possibilità di utilizzo, benché condizionata a fattori generici, e mascherando di fatto rapporti di lavoro dipendente.
Ciò a significare che tali tipologie contrattuali sono rimaste e sono intese a tutti gli effetti come un’articolazione del lavoro autonomo e non un “tertium genus” come qualcuno vorrebbe far credere.
Da un punto di vista della qualificazione della natura del rapporto di lavoro la legge 30 e i decreti applicativi non hanno prodotto innovazioni rispetto al passato.
Del resto in tema di qualificazione della natura del rapporto di lavoro nelle scuole paritarie il MIUR era intervenuto con la cm del 24 aprile 2002, n. 46 avente per oggetto " Legge 62 del 10 marzo 2000 – Contratti individuali di lavoro – Scuole paritarie. Applicazione dell’art. 1, comma 4, lettera h) e comma 5" .
In quell’occasione il MIUR aveva chiarito, recependo il parere sull’argomento dell’Avvocatura Generale dello Stato ( Parere 03723 del 17 aprile del 2002) all’uopo interpellato, che la natura del rapporto di lavoro del personale docente in forza nelle scuole paritarie, non può che essere ricondotta alla natura subordinata della prestazione.
Ammettendo la possibilità del ricorso a prestazione autonome nelle sue varie forme, quindi anche parasubordinate, nella sola misura massima del 25% di cui al comma 5 della L.62/2005.
Non ci sembra che un così autorevole parere possa ora essere messo in discussione da strumentali quesiti e possa tranquillamente essere disconosciuto dai vertici del MIUR.
Ancora. Per la Corte Suprema di Cassazione, sezione lavoro, il rapporto di lavoro tra un insegnante e una scuola privata, allora legalmente riconosciuta, è di natura subordinata (sentenza n. 5508 del 18 marzo 2004 ) in quanto la prestazione del personale, e in particolare dei docenti, è assoggettata a quei vincoli tipici del lavoro subordinato che rappresentano il presupposto dell’organizzazione scolastica così come avviene nella scuola statale.
L’orientamento giurisprudenziale ricordato è ancora più cogente in regime di parità scolastica dove, appunto, il ricorso al lavoro subordinato e dipendente è ampliamente considerato come un obbligo del gestore per beneficiare dello status di parità.
Allora perché tutto questo?
Di una cosa siamo convinti: la nota in questione non è affatto un “abbaglio” di un’Amministrazione poco accorta.
A nostro parere si tratta piuttosto di un messaggio teso a rassicurare anche quella fetta di gestori inadempienti garantendo loro una sorta di immunità tale da non intaccare i loro profitti. Del resto, solo sdoganando, benché per via amministrativa, l’obbligo legislativo si poteva impedire che a un numero di scuole fosse revocata la parità e che ad un altrettanto numero di scuole invece fosse negato il riconoscimento. Ecco allora il consueto dono di fine legislatura!
Se questi sono gli impegni moralizzatori annunciati al suo tempo dal Ministro, c’è poco da essere allegri!
Roma, 16 dicembre 2005