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L'università italiana recupera matricole, ma i grandi atenei del Nord vanno male

I buoni risultati al Centro-Sud e nei dipartimenti delle piccole città consentono al sistema di crescere del 2 per cento dopo la caduta dell'anno scorso: immatricolazioni sfiorano 330.000. In difficoltà Bologna, Padova, Ca' Foscari Venezia, Milano Bicocca e la Statale. Bene Torino e La Sapienza, exploit di Messina, Campobasso e Pavia. "Gli studenti per contenere le spese hanno scelto di non spostarsi né emigrare"

08/06/2023
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la Repubblica

di Corrado Zunino

ROMA - L'università italiana recupera studenti, e supera la battuta d'arresto dell'anno accademico 2021-'22. Repubblica è in grado di anticipare il risultato nazionale, curato dal ministero dell'Università e della Ricerca. E' questo: le nuove matricole dei corsi di laurea triennale o magistrale a ciclo unico - giugno 2023 su giugno 2022 - sono 329.817, 7.152 in più rispetto all'anno scorso, con una crescita pari al 2,2 per cento. È un dato confortante, in un anno di parziale crisi economica (l'aumento del costo del gas e dei prezzi delle materie prime, per esempio), e segue la caduta (-2,3 per cento) della passata stagione, oggi praticamente recuperata. Prima del 2021-'22, le immatricolazioni italiane erano cresciute per sei anni consecutivi e nel giugno 2021 gli iscritti dopo il diploma erano a quota 330.351, vicini alle cifre del triennio 2002-2005, il più florido del secolo in corso.

Ora si riparte, nonostante i timori. E il nuovo quadro universitario rispecchia quello di due stagioni fa, quando il Paese era ancora dentro la pandemia e Gaetano Manfredi, oggi sindaco di Napoli, guidava università e ricerca. Oggi come allora, 2020-'21, il risultato delle iscrizioni accademiche va oltre le aspettative (due anni fa la crescita fece registrare addiritura un +7,6 per cento) e oggi come allora le iscrizioni furono guidate dagli atenei minori e da quelli del Sud. E dalle donne, che rappresentano il 56 per cento delle matricole italiane.

Sì, la prima cosa da mettere in evidenza è l'emorragia di iscritti da parte di diverse università storiche del Settentrione d'Italia. Bologna, secondo ateneo per numeri, il più antico del mondo, perde il 6,5 per cento. Il totale degli immatricolati è di 26.421 (va ricordato che, invece, i singoli atenei conteggiano tre tipologie di università: triennale, magistrale a ciclo unico e magistrale successiva alla triennale). Milano Bicocca, poi, arretra del 4 per cento e la Statale di Milano dello 0,1 per cento. Ancora, l'Università di Padova, che si distingue ogni stagione per le borse europee Erc vinte dai suoi ricercatori, si ferma a 23.111 matricole: -2,2 per cento. E un altro ateneo di prestigio, Ca' Foscari di Venezia, pur immatricolando il 20 per cento degli studenti internazionali in più, perde sulle matricole generali il 5,2 per cento. 

Tra le grandi città del Paese si mostra in salute la Sapienza di Roma, che con gli ultimi due rettori ha riconquistato prestigio e appetibilità: un plotone di 27.551 matricole le garantisce di restare l'ateneo più grande d'Europa con una crescita sull'anno precedente del 4 per cento. Sempre nella Capitale, l'Università di Roma Tre segna un 1,6 per cento in positivo. Torino guadagna il 4,7 per cento e con 23.559 neoiscritti è il secondo ateneo italiano. Firenze cresce, dopo le inchieste che hanno toccato i precedenti vertici e il Dipartimento di Medicina, del 3,4 per cento.

Catania perde il 9 per cento

I risultati da interpretare sono quelli che riguardano istituzioni storicamente in difficoltà - le università nelle piccole città e nel Meridione -, ma che in questo difficile 2022-'23 tornano ad attrarre. Pavia supera per la prima volta i 26.000 iscritti totali e sulle matricole cresce del 6,2 per cento. Parma, con risultati però fermi a febbraio, vede aumentare le immatricolazioni dello 0,6 per cento. L'Università di Teramo (sede a Campobasso) prende il 3,1 per cento in più, quella del Molise il 7, Foggia il 3,6, Palermo l'1,7 e Messina, con 7.322 matricole, addirittura l'8,3 per cento. In controtendenza l'Università di Catania, che perde addirittura il 9 per cento.

L'Università del Piemonte orientale perde lo 0,6 per cento. Cede il 2 per cento l'Università di Cassino e l'Università Stranieri di Siena, 472 nuovi studenti, addirittura scende del 17,8 in percentuale. Per entrambe le università la spiegazione è legata agli strascichi post-Covid. "Abbiamo molti immatricolati esteri e il loro arivo varia di anno in anno", dicono dall'ateneo del Lazio meridionale. "Nel 2021 abbiamo toccato il picco", spiega Tomano Montanari, rettore della Stranieri di Siena, "poi il Covid ha interrotto il flusso dall'estero".

"Molti studenti hanno scelto di limitare le spese e di studiare vicino a casa", spiegano alla Flc Cgil, sindacato della conoscenza autore di uno studio che ha preceduto la pubblicazione dei dati, e questo discorso riguarda oltre modo gli immatricolati del Sud, che hanno scelto di non migrare in atenei di città settentrionali con affitti esosi. Tra il 2015 e il 2019 l'Italia ha prodotto 48.000 fuorisede in più, ma ancora oggi, nonostante il forte impegno in studentati del Piano nazionale di resilienza e ripresa (Pnrr), le stanze pubbliche dove poter dormire sono solo l'8 per cento della richiesta (830.000 universitari che studiano lontano da casa).

Le rate esose delle big

Il lavoro Cgil rivela e denuncia che dodici università pubbliche, le più grandi e finanziate, chiedono tasse ai loro iscritti superiori al 20 per cento della quota che gli stessi atenei ottiene dallo Stato, cosa che sarebbe proibita per legge. Tra questi ci sono Bologna e Padova, la Statale e la Bicocca che, abbiamo visto, hanno pagato in termini di immatricolati: le città del Nord non sono soltanto care per gli affitti e in generale il costo della vita, ma chiedono ai diciannovenni diplomati assegni di iscrizione e rate successive troppo pesanti.