180mila docenti sbattuti fuori dalle scuole. Vogliamo parlarne?
Il commento di Domenico Pantaleo, Segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL.
Sembra che la ministra dell'Istruzione Giannini abbia voluto mettere la parola fine sulla vicenda della scuola di Rozzano e del suo dirigente Marco Parma, che tante polemiche ha suscitato, per effetto delle assurde speculazioni politiche di esponenti della destra. A Rozzano, ha affermato la ministra Giannini, si è montato un caso sul nulla. Siamo d'accordo. Poi però ha aggiunto: "io e il mio ministero abbiamo fatto quello che si doveva fare, abbiamo accuratamente appurato che questo preside non ha minimamente interferito con le decisioni che la scuola aveva assunto circa le feste di Natale, i momenti e le forme. Devo dire che lui ha manifestato un disagio per tutto il clamore mediatico che si è creato intorno alla sua persona e alla sua scuola. Spetta a lui prendere una decisione definitiva". Ora, però, messo da parte il clamore mediatico su un particolarissimo aspetto della vita delle nostre scuole, è il momento di occuparsi delle grandi questioni lasciate in sospeso nell'applicazione della legge 107 di riforma della scuola. Una di queste incombe come una nube pesantissima sul cielo del Ministero dell'Istruzione. Si tratta dei bandi di concorso per l'assunzione di 63.700 docenti in tre anni, previsti per il primo dicembre ma slittati a data da destinarsi. Il Ministero è in gravi difficoltà, e farebbe bene ad aprire un tavolo di confronto con sindacati e soggetti associativi della scuola per dare rapida soluzione alla vicenda. Vediamo di cosa si tratta e perché la questione assume un rilievo politico nazionale.
C'è intanto una questione legata alla forma legislativa. Il Ministero ha scelto la forma del Decreto del Presidente della Repubblica per il varo delle nuove classi di concorso. Esso però impone una serie di passaggi istituzionali obbligati, dai pareri del Consiglio di Stato a quelli delle Commissioni parlamentari competenti e infine al via libera del Consiglio dei ministri, che sottoporrà il testo definitivo alla firma del presidente Mattarella, per vedere la luce formale sulla Gazzetta Ufficiale. L'altra tegola potrebbe arrivare anche dal vaglio possibile del decreto da parte della Corte dei Conti. Insomma, si tratterebbe di una dilatazione dei tempi non indifferente, che potrebbe spostare i bandi addirittura, nella peggiore delle ipotesi, a dopo le festività natalizie, più di un mese dopo le promesse dello stesso Ministero. Perché questo iter è decisivo? Perché le nuove classi di concorso impongono la riscrittura dei programmi di insegnamento sui quali verteranno, appunto, le prove concorsuali. Sembra una questione di natura tutta burocratica, in realtà non lo è. È eminentemente politica, e nasce dalla fretta, tutta propagandistica, con la quale è stata gestita prima la legge 107, poi le diverse fasi della stabilizzazione dei docenti, e infine la vicenda dei bandi. Sarebbe stato meglio, molto meglio, rallentare i tempi e agire con maggiore saggezza, per evitare di commettere errori e ingiustizie.
I nuovi bandi di concorso interessano circa 250.000 docenti di ogni ordine e grado, e sarebbero indirizzati esclusivamente ai docenti già idonei. Si sa già che per le scuole dell'infanzia saranno previste prove scritte e orali, mentre per i docenti delle altre scuole si starebbe pensando a una sorta di "interrogazione" su come si rende "interessante una lezione". E già queste scelte di contenuto dei concorsi pongono intuitivamente qualche rilevante problema, sul quale torneremo. Ma vi sono altre due grosse nubi che incombono. La prima è relativa ai docenti non idonei, che certamente ricorreranno ai tribunali per far valere il loro diritto a partecipare ai concorsi. La seconda è invece determinata dalla esiguità dei posti disponibili, in tre anni, rispetto al numero complessivo degli "aventi diritto". Se gli idonei vengono calcolati in 250.000 circa e i posti saranno "solo" 63.700, vuol dire che resteranno tagliati fuori ben 180.000 docenti. Ora, si tratta per lo più di docenti che provengono dalle regioni del Mezzogiorno, precari per uno o due decenni, che sulla certezza della supplenza hanno fondato perfino la loro esistenza. Che ne sarà di loro? Quale sarà il loro destino? Il Ministero ne ha fatto oggetto di riflessione? Perché si tratta di questo: essendo questi gli ultimi bandi di concorso, chiunque non dovesse rientrare, avrebbe grandissime difficoltà a rientrare nell'insegnamento, e anche in fatto di certezza della supplenza, perché allora si applicherebbe la norma che consente ai presidi la chiamata diretta. Si rischia, soprattutto, nelle regioni del Mezzogiorno una nuova ondata di disoccupazione intellettuale, un ulteriore impoverimento per decine di migliaia di famiglie, nuove enormi questioni da risolvere per le istituzioni pubbliche, già segnate dagli effetti della crisi.
La questione è grave ed è politica. Auspichiamo che la ministra Giannini intervenga per aprire il confronto, alla ricerca di soluzioni ragionevoli, che evitino migliaia di drammi umani. Non aveva detto, il governo, che i docenti sarebbero stati trattati come la spina dorsale del Paese? Questo è il momento per dimostrarlo concretamente.