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Finzioni

Fingiamo per un attimo che non sia stata una mera operazione di vetrina, politicamente

20/05/2011
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Anna Angelucci

Fingiamo per un attimo che le prove Invalsi per la rilevazione degli apprendimenti degli alunni
appena svoltesi non siano arrivate al termine di un triennio di tagli draconiani che, uniti ai miliardi
di euro di definanziamenti prospettati per l’immediato futuro, determineranno a breve l’apoptosi
della scuola statale italiana.
Fingiamo per un attimo che non sia stata una mera operazione di vetrina, politicamente
strumentale alla denigrazione della scuola pubblica e psicologicamente funzionale alla captatio
benevolentiae di cittadini imboniti da pratiche demagogiche; che non ci sia stato alcuno spreco di
risorse umane e finanziarie; che l’intera operazione sia stata condotta con modi e finalità trasparenti
e condivise, che le rilevazioni, in tutte le scuole e in tutte le classi, siano state accurate e ordinate, e
che i risultati possano essere considerati affidabili, attendibili e, soprattutto, significativi.
Fingiamo per un attimo di poter considerare gli esiti delle suddette prove come uno degli
indicatori del ‘valore aggiunto’, o sottratto, dalle scuole alla preparazione degli alunni (come ci
hanno pazientemente informato recenti note ministeriali e come teorizza il documento di Checchi,
Ichino, Vittadini, che finalizza la rilevazione degli apprendimenti alla valutazione punitivo-premiale
di dirigenti, docenti, scuole). Ovvero, fingiamo, ma solo per un attimo, che il termine “valore
aggiunto” (o plusvalore: in economia, la misura dell'incremento di valore che si verifica nell'ambito
della produzione e distribuzione di beni e servizi grazie all'intervento dei fattori produttivi capitale e
lavoro) ci paia pertinente se applicato ai processi della conoscenza e che si possa misurare tale
‘valore aggiunto’ con una sola rilevazione, questa di maggio, evidentemente priva di termini di
paragone, e che lo si possa calcolare con precisione, come suggeriscono i ‘signori Invalsi’, cioè al
netto delle variabili personali e socio-economiche rilevate da un questionario al quale, in tutto o in
parte, come sappiamo, molti studenti non hanno voluto rispondere.
Bene, dopo aver accuratamente finto tutti questi elementi di contesto, entriamo nel merito delle
prove, cosiddette oggettive. Mi riferisco alla prova standardizzata di italiano per gli studenti delle
seconde classi di scuola secondaria, ovvero di quell’ultimo anno dell’obbligo formativo che può
essere assolto in un liceo, in un istituto tecnico o professionale, o nell’apprendistato, somministrata
indifferentemente a studenti italofoni, a stranieri con competenze linguistiche in italiano L2 assai
diversificate, a studenti normodotati, o con bisogni speciali.
Più di una domanda riferita al testo narrativo (un racconto di Mario Rigoni Stern), che
prevedevano tutte una sola risposta esatta, offriva diverse possibilità d’interpretazione, tutte
legittime, ma quella giusta, l’unica considerata accettabile, era indicata nel protocollo pubblico di
correzione, al quale bisognava attenersi (mi riferisco, ad esempio, alle domande B1, B2, B3, B4,
B8, B13). Non si costruisce una prova oggettiva standardizzata semplicemente presupponendo un
limite o una gerarchia di accettabilità alle inferenze e alle ipotesi interpretative del lettore.
I fatti narrati si svolgono in Italia e in Russia (ci sono due livelli di narrazione, indicati nel testo
con due diversi caratteri grafici) ma la domanda B6/a esclude la doppia ambientazione. E allora,
come rispondere?
Riguardo alle scelte lessicali dell’autore (domanda B16) come fanno gli studenti a distinguere tra
la proposta C e D, ovvero a decidere se si tratta di un “lessico semplice e facilmente comprensibile,
tranne pochi termini che rinviano ad ambiti specifici” o di un “lessico caratterizzato da una
mescolanza di espressioni semplici e di altre molto ricercate”? Non è esattamente la stessa cosa? E
allora perché una delle due risposte deve essere considerata sbagliata? E poi, dulcis in fundo, è
possibile formulare in una prova oggettiva standardizzata la domanda “L’autore con questo testo
vuole…” pretendendo un’unica risposta chiusa ed escludendo a priori le mille possibili
interpretazioni dell’intenzionalità dell’opera letteraria?
E ancora. Viene proposto un brano intitolato“Geni, popoli e lingue” in cui si intrecciano
linguistica, etnografia, antropologia, evoluzionismo biologico e culturale, metodologia della ricerca
scientifica, genetica. Un saggio di linguistica? Un articolo di divulgazione scientifica? Una
relazione di carattere metodologico? Qual è la risposta esatta alla domanda D13? Che differenza c’è
tra un articolo e un saggio se il testo è riccamente argomentato e se la rivista che lo ospita è una
rivista di buon livello scientifico? Senza contare che la domanda D15, che chiedeva di individuare
tra 6 coppie di persone di diverse nazionalità e lingua quella che ha maggiore probabilità di capirsi
comunicando per iscritto, appare mal formulata, perché le coppie che hanno un ceppo linguistico
comune sono tre e non solo una.
Tra le domande di grammatica prevale l’approccio linguistico-pragmatico: agli studenti si chiede
di riconoscere e distinguere diversi aspetti ‘modali’ del passato remoto e dell’imperfetto, in
immaginari contesti di italiano parlato.
All’imperfetto ‘ludico’, di narrazione’, ‘di consuetudine’, ‘di cortesia’, da incrociare
puntualmente con gli esempi di frase proposti, i ‘signori Invalsi’, già che c’erano, avrebbero anche
potuto aggiungere esempi di imperfetto ‘onirico’, e imperfetto ‘di modestia’ (o imperfetto ‘di
intenzione’), di imperfetto ‘descrittivo’, imperfetto ‘iterativo’, imperfetto ‘narrativo’ (o ‘storico’ o
‘cronistico’), imperfetto ‘irreale’ e imperfetto ‘prospettivo’, così da coprire tutta l’ampia gamma di
valori controfattuali di questo tempo verbale e consentire agli studenti di esprimere tutte quelle
competenze di linguistica teorica che notoriamente si acquisiscono a 15 anni a scuola!
Stesso dicasi per l’ultima domanda del questionario, tutta giocata sulla grammatica del parlato e
sulle funzioni semantiche dei diversi ‘segnali discorsivi’ nell’analisi conversazionale….. Ma
andiamo!
Abbiamo speso milioni di euro, generato conflitti istituzionali, impegnato risorse umane e perso
tempo preziosissimo per mostrare che all’Invalsi masticano un po’ di sociolinguistica? Ma c’è
qualcuno, nelle Istituzioni, nelle Università ma soprattutto in Parlamento, capace di svelare questa
grande impostura?
* Coordinamento scuole secondarie di Roma