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«A lezione in cascina pur di non perderlo. Riportarli sui banchi è una sfida quotidiana»

Il preside del Professionale di Quarto Oggiaro: il sistema è troppo rigido Tagliare le spese può aiutare

03/09/2012
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Corriere della sera

MILANO — Non basta la passione, non basta presidiare una scuola che apre alle sette del mattino e chiude alle undici di sera, non basta nemmeno l'esperienza, ventennale, né la fantasia di quando t'inventi un'alternanza scuola-lavoro mandando un ragazzo in cascina pur di non perderlo. Non tutte le sfide si vincono e i presidi come Luca Azzollini lo sanno. Ma l'impegno per «tenerli» tutti i tuoi studenti non deve calare mai.
Portarli fino al diploma in certe scuole è una battaglia da combattere ogni giorno. Azzollini è da nove anni alla guida del Frisi, un istituto professionale di Quarto Oggiaro, periferia ruvida a nord di Milano, e il fenomeno degli abbandoni lo conosce da tempo perché arriva da altri professionali. «Al mio primo incarico spulciando negli archivi dell'istituto trovai le carte di una succursale aperta negli anni Cinquanta per "le ragazze perse": erano le ragazze madri, per loro in quegli anni venivano organizzati corsi di dattilografia». Parte da lontano Azzollini, ma alle «difficoltà» che anche oggi allontanano i ragazzi dai banchi di scuola arriva in un lampo.
Lasciano studenti milanesi e stranieri, che qui sono moltissimi, cinesi, sudamericani, romeni. Lasciano maschi e femmine. «Gli abbandoni sono soprattutto al primo anno, se superano la prima tappa difficilmente interrompono negli anni successivi». Il perché il preside del Frisi lo spiega con le storie dei suoi ragazzi, quelli che ha tenuto agganciati usando ogni arma e quelli che hanno voltato le spalle e non c'è stato verso di riavvicinare. E per raccontarle sceglie le parole: «Perché non voglio che si riconoscano».
Uno che ce l'ha fatta, per cominciare. «È un ragazzo a rischio delinquenza, come tanti in questo quartiere difficile. A scuola veniva e non veniva. Gli insegnanti facevano i salti mortali per tenerlo in classe. Per non perderlo l'abbiamo mandato in cascina con la formula scuola-lavoro. A volte dobbiamo inventarci soluzioni limite e scontrarci con un sistema scolastico rigido. Come è andata finire? Al terzo anno ha preso la qualifica e ha lasciato. Niente diploma, ma sappiamo che adesso ha trovato un lavoro, nel settore per il quale si è formato qui al Frisi».
Poi apre il capitolo degli stranieri, Azzollini. «Ci sono molti ragazzi che devono conciliare studio e lavoro, anche se sono piccoli. Sappiamo che alcuni sono occupati nel contesto familiare, ma non tutti i genitori vengono a raccontarcelo». Il Frisi è un maxi istituto con mille e cento studenti, c'è il professionale di Stato, diurno e serale, e i corsi regionali di formazione professionale. C'è anche un corso per parrucchieri. «Ai cinesi interessa molto. Si iscrivono entusiasti ma saltano le lezioni di italiano e di storia e frequentano soltanto le ore di laboratorio. E appena imparano a tenere la forbice in mano, non li vediamo più. A loro non interessa il titolo di studio, vogliono soltanto imparare il mestiere. Semplificare l'offerta per loro? Sarebbe un errore, bisogna comunque proporre il meglio».
D'altra parte racconta Azzollini, «ci sono moltissimi studenti cinesi sostenuti da famiglie che credono nell'istruzione come modalità di integrazione e i loro figli sono bravi, soprattutto nelle materie scientifiche, in matematica hanno tutti otto, nove e dieci. Anche le mamme sudamericane ci tengono all'istruzione, non mollano nemmeno davanti agli insuccessi, sono tostissime».
La squadra dei «demotivati» invece è soprattutto nazionale. Sono i ragazzi che abbandonano perché non credono nell'utilità della formazione. «Hanno miti diversi. Sognano facili carriere televisive, anche di basso livello». È forse con loro la sfida più impegnativa. «È più semplice aiutare chi nella scuola ci crede ma non se la può permettere e anche a Milano, oggi, non sono pochi. Per l'alberghiero, ad esempio, per cominciare bisogna comprare libri e divise e se hai più figli e sei senza lavoro non ci arrivi». Contro la dispersione servono anche progetti per tagliare le spese. «Quella per i testi l'abbiamo dimezzata — dice orgoglioso il preside —. Li autoproduciamo. Abbiamo aderito a "Book in progress": ci siamo messi in rete con altre scuole in tutto il Paese. Possiamo fornire per cinque euro un libro da trenta». E poi. «E poi siamo qui. A scuola. Pronti a studiare per ognuno dei nostri ragazzi una strada percorribile, perché arrivino lontano».

Federica Cavadini