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“Abbiamo alunni di 25 Paesi essere diversi qui è un valore”

La primaria di via Dolci a Milano è un modello di integrazione. “Da noi nessuno ritira i figli”

12/09/2013
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la Repubblica

ZITA DAZZI
MILANO
Said, otto anni, ha i genitori tunisini e alla scuola elementare di via Dolci frequenta il corso di arabo per bambini. Così riuscirà a scambiare quattro chiacchiere con i nonni di Hammamet, quando andrà a trovarli, a Natale. Sarà la sua prima volta in Africa perché lui è nato a Milano, nelle case popolari di piazzale Brescia. E da lì non si è mai spostato. Dumitra, 30 anni, viene dall’Ucraina e allatta ancora. In classe ci entra al pomeriggio, per imparare l’italiano, assieme alle altre mamme immigrate del corso di alfabetizzazione, mentre due puericultrici tengono a bada i bebè multicolor in “aula psicomotricità”. Intanto, nel cortile di quest’elementare con le facciate gialle, a pochi metri dalla circonvallazione esterna di Milano, zona San Siro, un gruppo di padri cinesi e sudamericani aiuta i bidelli a scaricare le cassette di verdura da un camion della Coldiretti per il mercato a chilometro
zero aperto solo alle famiglie degli alunni.
Hanno tutti da fare alla scuola primaria di via Dolci 5, quartiere della prima periferia milanese, zona di grande traffico e poco verde, dove la percentuale di stranieri residenti arriva al 18 per cento, anche se sui registri di scuola la quota di cognomi non italiani sale fino al 40-45 per cento. Una scuola multietnica, come si suol dire. Anche se preferisce chiamarla «scuola
che si confronta con l’intercultura », il preside Giovanni Del Bene, 67 anni, una vita spesa a insegnare Pedagogia all’università Statale, prima di diventare dirigente dell’Istituto comprensivo Cadorna e del vicino Calasanzio, in tutto 2.300 bambini e ragazzi, dai 3 ai 13 anni, divisi fra sette diversi plessi di scuola materna, elementare e media, con una quota di alunni di origine straniera che oscilla fra il 40 e il 60 per cento per classe. Con punte del 90 per cento in alcune sezioni della primaria di via Paravia, la scuola «di frontiera » che il Provveditore gli ha accollato da quest’anno.
«Forse hanno pensato che solo io potevo “reggere” una situazione così complessa», scherza Del Bene, dalla sua scrivania affacciata sul cortile di via Dolci, da dove arrivano le chiacchiere di due madri in jeans e
hijab.
Del Bene è un preside che a Milano tutti conoscono perché riesce a far funzionare una scuola dove sono presenti bambini di 25 nazionalità e sette religioni diverse. Una “scuola modello”: anche istituzioni importanti come la Fondazione Cariplo e il ministero degli Interni hanno deciso di premiarla con due diversi finanziamenti, per un totale di 500mila euro, assegnati con regolare bando, per portare avanti i tanti progetti sull’integrazione avviati negli ultimi anni.
«I bambini hanno diritto all’istruzione, come dice la Costituzione. Io accetto tutte le domande di iscrizione e non guardo al passaporto quando mi vengono a chiedere di prendere un nuovo alunno — spiega il preside sgranando gli occhi azzurri — Qui abbiamo classi dove si parla l’hurdu e l’inglese, l’arabo e lo spagnolo, ma non è mai stato un problema. Non ho genitori che ritirano i figli per paura degli stranieri. Non vorrei apparire retorico, ma qui, davvero, la diversità è accolta come una ricchezza».
La forza del modello Cadorna sta nella collaborazione fra una potente associazione dei genitori e un consapevole corpo insegnanti, oltre che nell’apporto continuo di idee ed energie esterne, con stimoli che vengono dal Politecnico e dalle università Statale e Bicocca, oltre che da una pletora di associazioni ed enti, dal privato sociale fino al Movimento consumatori. «La scuola è sempre aperta, anche a Natale e fuori dall’orario di lezione. Al sabato abbiamo i volontari per aiutare i bambini a fare i compiti e al pomeriggio abbiamo i corsi di sport, arte e creatività quasi gratuiti per tutti gli alunni — elenca il preside — La sera organizziamo incontri e spettacoli, il venerdì abbiamo il mercato della verdura biologica. E poi le feste, le mostre, le manifestazioni sportive, i laboratori per adulti e bambini». E la religione? «Il crocefisso c’è in ogni aula, ma sulla mia scrivania ci sono i simboli cari a tutte le culture. Il prete viene a fare la benedizione natalizia fuori dall’orario scolastico, nella palestra aperta a tutti quelli che sono interessati a partecipare. E ogni anno, alla celebrazione, vengono anche molti alunni musulmani».