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ANVUR, la tragedia di un’agenzia ridicola

Breve storia dell’ingloriosa epopea dell’agenzia di valutazione dell’università e della ricerca, a partire dal Manuale di Nonna Papera

08/01/2015
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ROARS

Giuseppe De Nicolao

Non è vero che la sto­ria si ripete prima come tra­ge­dia, poi come farsa. Tal­volta, viene prima la farsa. Breve storia dell’ingloriosa epopea dell’agenzia di valutazione dell’università e della ricerca, a partire dal Manuale di Nonna Papera e la caccia agli zombies per arrivare al Politecnico di Milano superato dall’università di Messina nell’Ingegneria industriale e dell’informazione e alla scientificità di Suinicultura (sì, con tre “u”), difesa attraverso una surreale equiparazione con il Caffè di Pietro Verri. A conferma che le prime vit­time sacri­fi­cali dell’ideologia sono la cul­tura, l’onestà intel­let­tuale e il senso del ridicolo.

Non è vero che la storia si ripete prima come tragedia, poi come farsa. Talvolta, viene prima la farsa. L’ANVUR, Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, nasce a ridosso della caduta dell’ultimo governo Prodi. Mariastella Gelmini la giudica una «costosissima struttura ad alto tasso di burocrazia e rigidità», ma poi si ricrede, facendone un cardine della sua riforma. Nel 2011 nomina i membri del Consiglio Direttivo: il presidente Stefano Fantoni, Sergio Benedetto, Andrea Bonaccorsi, Massimo Castagnaro, Giuseppe Novelli, Fiorella Kostoris, Luisa Ribolzi. Non manca il lato folkloristico: Luisa Ribolzi sul sito dell’agenzia sottolinea che il suo libro più venduto è stato il Manuale di Nonna Papera. I membri del direttivo percepiscono 178.500 Euro all’anno, 210.000 per il presidente Fantoni. Compensi cumulati con la pensione per quattro membri su sette.

In sintonia con la visione gelminiana, nel 2012 Benedetto illustra senza peli sulla lingua gli scopi della VQR 2004-2010, la Valutazione della qualità della ricerca:

quando la valutazione sarà conclusa, avremo la distinzione tra researching university e teaching university. Ad alcune si potrà dire: tu fai solo il corso di laurea triennale. E qualche sede dovrà essere chiusa.

Ma i metodi di valutazione dell’ANVUR, oltre a non essere all’altezza degli standard internazionali, ignorano le basi dell’aritmetica. La formula escogitata per dare i voti alle università è un nonsenso matematico, che non esclude le divisioni per zero.

L’ANVUR adotta sistematicamente soluzioni già scartate o abbandonate da altre nazioni. Per le scienze dure, viene inventata un’inedita valutazione automatica degli articoli, basata su indicatori bibliometrici che l’agenzia di valutazione britannica aveva giudicato “non sufficientemente robusti”. Per le scienze umane e sociali, l’introduzione di classifiche di riviste ignora l’esperienza degli australiani, che le avevano abbandonate, ritenendole dannose. Pure la scelta dei valutatori lascia perplessi: nel comitato delle scienze economiche e statistiche il 75% dei valutatori risultano legati da collaborazioni scientifiche dirette o indirette. Abbondano i professori legati alla Bocconi e al futuro movimento politico “Fare per fermare il declino”.

«Il Paese possiede una fotografia dettagliatissima e, soprattutto, certificata della qualità della ricerca italiana» dichiara Fantoni in occasione della pubblicazione dei risultati. Esulta Messina che precede di sei posizioni il Politecnico di Milano nella classifica ANVUR per Ingegneria Industriale e dell’Informazione. Inoltre, le classifiche fornite alla stampa sono diverse da quelle del rapporto ufficiale ANVUR. L’agenzia ha riscritto le classifiche degli esperti di area, cambiando le demarcazioni che suddividono università e dipartimenti in piccoli, medi e grandi.

Nel caso dell’Abilitazione scientifica nazionale i bellicosi intenti dell’agenzia sono testimoniati dalle dichiarazioni di un suo esperto:

… facciamo mobbing su quelli giovani ma mediocri o peggio per farli andare in pensione (p.es. tagliamoli fuori dalle commissioni di concorso e facciamone degli zombies). … In questo processo ci saranno delle ingiustizie? Purtroppo si.

Nonostante denunce e lettere aperte, il Consiglio Direttivo non ritiene di intervenire sulla base del Codice etico di cui si è pur dotato.

Commissari e i candidati vengono divisi in “buoni” e “cattivi” in base ad indicatori “oggettivi”, come il numero di articoli pubblicati o il numero di citazioni ricevute. Si fa una classifica e solo chi sta nella metà alta, ovvero sopra la mediana, è “buono”. Ai professori submediani sarà precluso l’accesso al sorteggio per entrare nelle commissioni giudicatrici. Ai candidati che non superano la mediana dei professori in ruolo sarà in linea di principio negata l’abilitazione scientifica.

Nell’agosto 2012, nonostante l’assenza di dati certificati sulla produzione dei singoli professori, l’ANVUR pubblica le mediane, ma se le rimangia il 27 dello stesso mese. Nella revisione, le mediane delle scienze dure si spostano verso l’alto, mentre quelle delle scienze umane e sociali scivolano verso il basso. Nelle aree di architettura, scienze giuridiche e scienze economiche e statistiche, le mediane sono sempre intere, un evento del tutto implausibile dal punto di vista statistico. Per gli umanisti, il conteggio degli articoli apparsi su riviste scientifiche e degli articoli pubblicati nelle cosiddette riviste di fascia A non può prescindere dai rispettivi elenchi di riviste, che però verranno pubblicati solo in settembre.

L’ANVUR si giustifica con un documento scritto in un italiano stentato, non solo per i refusi, ma anche per gli errori grammaticali e lessicali. L’agenzia chiama sul banco degli imputati una presunta ambiguità del concetto di mediana, la cui definizione è peraltro facilmente reperibile in ogni testo introduttivo di statistica. Nonostante le prescrizioni del D.M. 76/2012, l’ANVUR non pubblicherà mai i dati di dettaglio utili per una controverifica.

Quando vengono finalmente pubblicate, le liste delle riviste scientifiche diventano oggetto di ilarità nazionale, meritandosi la prima pagina del Corriere della Sera. Negli elenchi ANVUR c’è di tutto, dal Sole 24 Ore fino all’annuario del Liceo di Rovereto, ma anche riviste per catechisti, periodici patinati come Yacht Capital e periodici per operatori agricoli e allevatori di maiali, come Suinicoltura.

Sul Sole 24 Ore, Fantoni replica rivendicando il credito internazionale di cui godrebbe l’agenzia, uno dei cui primi atti

è stato quello di diventare membro dell’Enqa (European Association for Quality Assurance in Higher Education) e di avviare la collaborazione con alcune delle maggiori sorelle europee, come ad esempio l’Aeres francese

Passano tre mesi e in Francia viene annunciata la chiusura dell’AERES, colpevole di “delirio burocratico”. Passa un anno e si scopre che l’ANVUR non era membro dell ENQA, ma solo “membro candidato”. Alla fine del biennio di prova, invece di essere promossa a membro effettivo, è scesa al livello di “membro affiliato”, messa alla pari con l’agenzia di valutazione equadoregna.

Ribolzi e Castagnaro difendono la scientificità (nell’area di Scienze economiche e statistiche!) di quella che – con un refuso freudiano – chiamano “Suinicultura” con questo argomento:

il Caffè [1764-1766] dovrebbe forse essere escluso dal novero delle riviste che hanno fatto la cultura italiana perché ha un nome che lascia piuttosto pensare alla cucina?.

Chissà cosa avrebbe pensato Pietro Verri vedendo paragonato Il Caffè ad una rivista che rivendica di essere il «punto di riferimento imprescindibile per gli allevatori di suini, per i tecnici e per le imprese impegnate nell’indotto della filiera suinicola nazionale»?

E cosa avrebbbe pensato Pietro Verri di questi burocrati, enciclopedici solo nella capacità di profanare ogni campo dello scibile, pronti a fare scempio di grammatica e lessico, senza però trascurare l’aritmetica e la statistica? Non è una novità. Da sempre, le prime vittime sacrificali dell’ideologia sono la cultura, l’onestà intellettuale e il senso del ridicolo.

Una versione ridotta è apparsa sul Manifesto del 2 gennaio 2015:
https://ilmanifesto.info/anvur-la-tragedia-di-unagenzia-rid…/