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AprileOnLine: Alla Ricerca dell'università

C'è qualcosa che non va

16/12/2006
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Aprileonline

A. S.

C'è qualcosa che non va. C'è qualcosa che non va perché una coalizione che aveva impostato una bella fetta di campagna elettorale sulle parole d'ordine "futuro", "istruzione" e "ricerca" ora viene contestata, in modi tanto scomposti che il Corriere della Sera è arrivato a stigmatizzare alcune esternazioni dai più autorevoli rappresentanti delle università, ergo, del sapere, del futuro. La Conferenza dei rettori, infatti, nelle scorse ore è arrivata a mettere al bando i membri del governo da tutte le più significative cerimonie organizzate dagli atenei (lauree ad honorem, celebrazioni, inaugurazioni varie). Ai rettori non va giù che il governo abbia ridotto i finanziamenti ordinari di 200 milioni euro all'anno e l'abbia fatto nei settori di base, in quella "gestione ordinaria" che nella voce dei bilanci universitari corrisponde al pagamento di affitti, pulizie, riscaldamento. In molti casi, dicono, si "rischia la sopravvivenza".

Vada per i tassisti, i farmacisti, gli avvocati. Passino i commercianti e gli artigiani. Gli operai di Mirafiori, un po' meno. Ma quando a minacciare sono le università, quando il ministro responsabile minaccia dimissioni nel caso i tagli vengano confermati beh, allora. E tutte quelle belle parole? Quella luna di miele tra università e centrosinistra contro Berlusconi e la Moratti? Si sapeva che si doveva stringere la cinghia, che sarebbe stata una Finanziaria di sacrifici. Ma nel Documento di programmazione economica e finanziaria si parlava di sviluppo, a fianco del risanamento: cinquanta e cinquanta. Sviluppo senza università e ricerca è, francamente, una formula vuota.

Andrea Ranieri, senatore Ds, ha fatto il punto in un intervento in aula. Toni pacati, linguaggio tecnico: speranze. Ma a decrittare le sue parole si intuisce tanta confusione. Ranieri l'ha presa alla larga, ha esordito con il fiele, parlando dei problemi, due, della nostra università. Primo: investiamo in università e ricerca meno della media dei paesi industrializzati. Secondo: "Vi è un sistema produttivo e sociale che non riesce ad utilizzare pienamente nemmeno quel sapere". Insomma, c'è uno sfasamento tra quello che si insegna e quello che vuole il mercato.

Qualcosa si è fatto, ha spiegato Ranieri, per tappare il secondo buco. Il decreto Bersani - Visco ha stanziato 750 milioni di credito d'imposta per le imprese che investono in ricerca e innovazione, è stato varato "Industria 15", un documento che stabilisce i settori nodali di sviluppo (trasporti, risparmio energetico, nuove tecnologie dell'informatica e della comunicazione) e vi ha fatto confluire risorse per la ricerca. Il FIRST, il nuovo fondo unificato a sostegno della ricerca, è di 300 milioni più ricco.

Nello stesso tempo, però, alle università si fanno mancare i soldi per le fondamenta. Ha detto Ranieri: "Credo che l'indebolimento del finanziamento ordinario all'università, che avviene con questa finanziaria, rischia di rendere problematica e difficile la stessa possibilità, per l'università, di interfacciare con i nuovi progetti che pure il decreto Bersani e il FIRST gli mettono a disposizione. Credo che esista un rischio, e cioè che si crei uno scompenso tra le risorse disponibili per la ricerca applicata allo sviluppo e la ricerca di base, quella che normalmente l'università finanzia con risorse e con progetti propri. Questo sarebbe un brutto segnale, perché l'Italia non ha bisogno semplicemente di una ricerca tesa a innovazioni incrementali rispetto a quello che attualmente produce; ha bisogno di cambiare il proprio assetto, per le innovazioni radicali e c'è bisogno di tanta ricerca di base". E' quello che stanno facendo gli altri paesi. Investono più in ricerca di base, perché senza di essa, senza l'ossigeno per i progetti autonomi delle università, la ricerca mirata e applicata non decolla. E in Italia alle università va lo 0,8 per cento del Pil, negli altri paesi europei, in media, l'1,2.

Invece di inseguire, retrocediamo. Invece di sforzarci di reperire fondi e risorse per gli atenei, cerchiamo di svegliare fondi dormienti per assumere dipendenti pubblici: bene. Ma un paese che non scommette sulla ricerca e sull'università è un paese che tira a campare.