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AprileOnLine: Cervelli in fuga e cretini stanziali

Politica. Al ministro Fabio Mussi spetta ora il difficile compito di risanare la ricerca e favorire la permanenza dei nostri studiosi. Il guidizio di una ricercatrice

20/05/2006
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Aprileonline

Marina Montecutelli*

Primo “quaderno di doglianza” al neo-ministro dell’Università e della Ricerca, Fabio Mussi
“In questa prospettiva strategica si tratta di operare a più livelli per raggiungere alcuni obiettivi prioritari: aumentare e qualificare decisamente la spesa per l’università e per la ricerca, con regole e modalità che la rendano un investimento per la crescita del Paese, anche adeguando le infrastrutture di ricerca (strutture edilizie, strumentazione, biblioteche, etc.) alle esigenze della ricerca di base e tecnologica più avanzata” (dal programma dell’Unione)
Caro Fabio,
vorrei raccontarti cosa mi ha detto ieri una collega a proposito della situazione dei laboratori italiani, crocifissi da anni di tagli e torture burocratiche di vario genere e natura.
“Sentiamo tanto parlare – giustamente – di cervelli in fuga. Ma, se tornano, cosa trovano? Laboratori con pezzi da museo, aggiornati - quando e se possibile - con lacrime e sangue e tenuti meglio dei propri figlioli. E qualche raro tecnico per gestirli, che gira ormai con il bastone data l'età. Forse una povera amministrativa part-time che cerca di capire come funziona Sigma” (si riferisce al nuovo sistema di contabilità et similia, varato recentemente dal glorioso CNR).
Ha ragione. E, complice qualche altro collega, ti faccio un paio di esempi di cosa un “cretino stanziale” (cioè uno di noi) può malauguratamente offrire a un “cervello che pensa di rientrare”. Cominciamo dalle stelle: all’Istituto Italiano di Astrofisica si è pensato di chiudere tutti i cosiddetti “piccoli” telescopi - ossia quelli con specchio inferiore a 2 metri di diametro - sul territorio nazionale. Peccato che in Italia non ci siano telescopi con diametro più grande di 1,8 metri! Così, gli astronomi italiani dovranno dividersi il tempo su un solo telescopio con specchio di 4 (il “Galileo”, alle Canarie) o, in alternativa, quel tempo di osservazione che riusciranno a conquistarsi - “coltello tra i denti” – sull’altro grande telescopio internazionale (in Cile) o sul “binocolo” italo-tedesco-americano in Arizona (quando sarà operativo). Bei posti, dirai: già. Ma, a parte che le missioni i colleghi le pagano di tasca loro (perché soldi non ce ne sono, per loro e per molti di noi), ti ricordo che le notti in un anno sono sempre, inguaribilmente, 365 (W gli anni bisestili!). Se ti fai due conti, resta un quarto di notte di osservazione a testa, sperando che non piova! (inutile aggiungere che ben pochi studenti, per maneggiare un telescopio, possono permettersi di andare alle Canarie, in Arizona o in Cile…)
Veniamo alle stalle, ossia alla nuda strumentazione. I laboratori con diffrattometri automatici o generatori di raggi X amano l’interdisciplinarietà e aspirano a diventare musei di storia della scienza: la strumentazione è ultradecennale e gli apparecchi più recenti sono stati acquistati cinque anni fa (guarda il caso…)… ehm, di seconda mano. Per non parlarti dei contratti con le industrie, revocati perché non possiamo svolgere le ricerche cui sarebbero interessati, delle apparecchiature ferme perché non disponiamo dei mezzi per pagare la manutenzione. O, ancora, di apparecchi costosissimi che ci sono stati regalati: ma non possiamo sborsar nulla per trasporto e montaggio. E regalarli a nostra volta sarà l’unica cosa da farsi, a meno di non impiegare il “cervello che pensa di rientrare” come tecnico specializzato, giacché queste figure – fondamentali e di altissima professionalizzazione – sono una specie in via d’estinzione più del Panda del WWF.
E che dire poi delle biblioteche e degli archivi, dove si aggirano pazienti creature, armate di penna e taccuino perché – se pure ci sono, talvolta, le prese per i computer – non sempre sono utilizzabili giacché sono (ahimè) alternative al pagamento della bolletta elettrica? Studiosi usi ormai alle collezioni interrotte per mancanza di fondi, ai libri sgangherati o ai codici rimasti, per insolvenza, nei laboratori di restauro; professori che hanno acquisito strabilianti capacità tecniche, abituati da tempo a riparare fotocopiatrici eternamente bloccate: di quelle col carrello, sai? Ovvero: pigiare il pulsante, attesa lenta dell’accensione, scorrimento fiacco del carrello stesso, lampo della magica luce verde, calma uscita della prima fotocopia, ritorno nella primigenia posizione dell’odiato carrello. Tempo medio di una fotocopia: un minuto circa. E l’occhio va alla fila dietro, che si dipana come un serpentello favorendo però (lo ammetto) la socializzazione più dei capannelli dei fumatori davanti alle trattorie.
Bisogna far qualcosa, non credi? Magari d’intesa con il collega dei Beni culturali; convinta, come sono, che - a differenza di tanti predecessori - sapete finalmente distinguere un capitello da un pilone d’autostrada. E magari con il collega dell’Innovazione; fiduciosa, come sono, che intenda questa parola nel senso etimologico del termine: “alterare l’ordine delle cose stabilite per fare cose nuove”.
Perché ha torto, deve aver torto Italo Calvino quando raccontava i (quasi) italici “quaderni di doglianza” di Cosimo Piovasco di Rondò: “Insomma, c’erano anche da noi tutte le cause della Rivoluzione francese. Solo che non eravamo in Francia, e la Rivoluzione non ci fu. Viviamo in un paese dove si verificano sempre le cause e non gli effetti”.
Con fiduciosa, trepidante attesa dei “quaderni di contentezza”
* Ricercatrice