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Aprileonline: Di Vittorio, come il sindacato parla ai giovani

Un istituto superiore romano riunisce studiosi e sindacalisti per incontrare i giovani ed ascoltare le loro speranze e loro esigenze: quale deve essere il fine del lavoro e delle rappresentanze dell'occupazione? Un appuntamento che nasce nella scia del monito di chi si è battutto per un solo scopo: "Insegnare ai braccianti a non togliersi il cappello al passaggio dei signori"

26/05/2009
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Aprileonline

Spiegare a cosa è servito e a cosa soprattutto serve il sindacato, raccontarne la storia e i suoi passaggi più significativi, ascoltare cosa ci si aspetta dalla rappresentanza del lavoro oggi, di fronte ad una globalizzazione che si fa sempre più dilagante, che ha il volto di una precarietà capace di erodere certezze e immaginazione del futuro. Fare tutto questo davanti ad una platea di giovani, perché più di tutti del sindacato hanno e avranno bisogno: presente da precari, futuro senza certezza di pensione, cosa può fare per loro la Cgil? Il sindacato vuole farsi conoscere dalle giovani generazioni, forse anche fornire loro un apporto per attutire il colpo della solitudine a cui l'attuale mondo del lavoro le costringe.

Questo il senso dell'incontro organizzato questa mattina presso l'istituto superiore Giuseppe Di Vittorio-Giovanni Lattanzio di Roma. Una scuola tecnica che porta un nome importate, quello del padre della lotta dei braccianti pugliesi e fondatore dell'organizzazione di Corso Italia. Dalla parte dei lavoratori: la funzione del sindacato confederale da Giuseppe Di Vittorio ad oggi, era questo il titolo scelto per l'appuntamento che ha visto un parterre di conoscitori della storia del mondo del lavoro, di sindacalisti, di studiosi alternarsi davanti ad una platea di giovanissimi.

Giulietta Ottaviano (presidente di Proteo Roma Lazio, esperta del movimento operaio), che si è concentrata sulla lotta agraria e di fabbrica all'inizio del Secolo breve; Claudio Di Bernardino (segretario generale della Cgil di Roma e Lazio), che ha insistito sulla funzione che oggi spetta alle organizzazioni del lavoro; Antonella Furgiuele (segretario generale Nidil Roma Est), che ha puntato l'attenzione sulla sfida che spetta a quella parte della Cgil che assiste i lavoratori precari, coloro che vivono le nuove condizioni e identità che il mondo del lavoro sta assumendo. E' forse al Nidil che nei prossimi anni spetterà la massima missione sindacale: contrastare la pratica delle finte collaborazioni che rendono i giovani vittime senza bussola dell'insidioso mare di una flessibilità ormai ridotta a precariato. Hanno partecipato anche Ernesto Rocchi (segretario generale della Camera del Lavoro di Roma Est) e Paolo Camardella (segretario generale Flc Cgil Roma Est). E' stato infine Carlo Ghezzi, presidente dell'Istituto Di Vittorio, a rispondere alle domande degli studenti.
Gli stessi a cui i professori hanno proposto la compilazione di un questionario dal quale si evincono le loro aspirazioni, ma soprattutto le speranze e le paure del futuro.

Immaginano una condizione migliore di quella vissuta dai genitori o almeno uguale, si aspettano dal sindacato l'impegno ad aumentare i posti di lavoro e a contrastare il precariato, vedono nel miglioramento della condizione di lavoro e nella difesa del posto di occupazione la missione della rappresentanza. E il lavoro? Per la maggior parte degli studenti (circa il 43%) la speranza è che sia ben retribuito e molto stabile (32%) perché il fine ultimo del lavorare è quello di assicurare un reddito (76%), mentre solo una parte esigua (17%) ritiene che sia quello di realizzarsi attraverso un impiego appunto gratificante.
Concretezza ma anche speranza, dunque. Come del resto traspare dalle loro domande, un mix di realismo e di innocenza, di praticità e idealismo: "Il sindacato è ancora laico e apartitico come voleva Di Vittorio?" e "può fare una vera battaglia contro i morti sul lavoro?", "come si concilia sindacato e precarietà" ed "esiste ancora solidarietà fra i lavoratori?". Rispondere è semplice per uno studioso come Ghezzi, soprattutto quando si è guidato una Camera del lavoro importante come quella di Milano negli anni caldi.
Si, il sindacato può e deve solo inseguire la conquista dei diritti del lavoro partendo del presupposto che "il lavoro cambia sempre e cambia le generazioni per cui bisogna contrattare costantemente diritti e regole", afferma Ghezzi, che ricorda come purtroppo "la flessibilità utile ad una società dinamica si sia trasformata in precarietà", vedendo aggiungersi "la mancanza di ammortizzatori sociali" che facessero da paracadute all'impiego ad intermittenza.
Anche la solidarietà esiste ancora: "c'è solidarietà, non so se ci sono altri ceti sociali che la esprimano come il mondo del lavoro". Ma questa capacità di connessione secondo Ghezzi "deve essere organizzata", una missione "semplice quando il mondo del lavoro è omogeneo, meno quando, come accade oggi, è frammentato".

Altra sfida è ovviamente quella di contrastare "il record negativo che il nostro paese detiene in Europa per le morti bianche" con tre decessi quotidiani che rendono il tema "una battaglia di civiltà". Il futuro è difficile per il sindacato e per i lavoratori del domani, attualmente ancora sui banchi di scuola, ma per vincerla si può attingere alla speranza che proviene dal passato, quando "abbiamo insegnato ai braccianti a non togliersi il cappello al passaggio dei signori", come era solito ricordare Giuseppe Di Vittorio.