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Aprileonline: I tagli che non si possono fare

Al di là degli aspetti tecnici, la Finanziaria è deludente per la sua pessima gestione politica: invece di discutere apertamente di una dura manovra di risanamento, si è parlato di tutt'altro. E adesso arrivano anche i tagli alle università

11/11/2006
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Aprileonline

Nane Cantatore, 10 novembre 2006

Anche se al peggio è difficile trovare un limite, questa Finanziaria sembra davvero andarci vicino. Non tanto peri contenuti, che sono quelli di una manovra contabile pesante e arzigogolata, che dovrebbe riuscire a mettere un po' di ordine nel disastro della finanza pubblica, ma che lo fa a prezzo di sacrifici per tutti e di un impianto farraginoso e difficilmente comprensibile: ciò che rende questa manovra davvero penosa è il modo in cui è stata presentata e gestita.

Per messi si è suonata la grancassa di un provvedimento pieno di riforme e innovazioni, che avrebbe rilanciato lo sviluppo e voltato pagina, in un nuovo clima di dialogo con gli enti locali, affermazione di una politica industriale finalmente degna di questo nome, ripresa della concertazione e ripensamento in positivo dello Stato sociale. Si sono create molte aspettative, e ci sarebbe voluto poco per avviare, finalmente, quel profondo dibattito sullo sviluppo di cui l'Italia ha un disperato bisogno, e che caratterizza lo scenario politico in molti Paesi europei.

Invece, ci troviamo di nuovo nel solito teatrino della bassa politica, a commentare le battute di questo, le intemerate di quest'altra e le uscite intempestive di un terzo che passava di lì per caso, a perderci dietro il continuo battibecco tra avversari e alleati, a cercare di capire quanto di vero c'è nelle affermazioni di un governo che, per dare davvero un'impronta nuova alla legislatura, dovrebbe fare esercizio di trasparenza. Si sarebbe dovuto dire la verità: questa è una Finanziaria lacrime e sangue, che colpisce tutti, ma proprio tutti, che non attua nessuna reale politica redistributiva, che getta sul lastrico le amministrazioni locali e che non stanzia un euro agli investimenti strutturali, all'innovazione e alla ricerca. Al di là dell'aumento della pressione fiscale, pagheremo tutti un prezzo carissimo in termini di riduzione dei servizi, e qui l'effetto redistributivo andrà a farsi benedire. Pazienza, la riduzione del debito può forse valere i sacrifici; ma in questi casi, l'onestà intellettuale o, se non altro, l'elementare calcolo politico che consiglierebbe di non gettare via il capitale di fiducia di questo governo, avrebbero dovuto suggerire una via più partecipativa e trasparente: dire, fin dal Dpef, come stavano le cose, e cominciare da subito a mettersi al lavoro per rilanciare gli investimenti e i consumi nel 2007. Soprattutto, ci si deve rendere conto che ci sono tagli che non si possono fare, perché il danno inflitto è enormemente superiore ai pochi soldi che fruttano.

È il caso della spesa per l'università e la ricerca, chiave di volta per una competitività economica che non si basi soltanto sul costo del lavoro, visto che questa soluzione è impraticabile in un mondo nel quale ci sono la Cina e le economie emergenti. Soprattutto, dopo che la precedente legislatura aveva umiliato in tutti i modi ogni luogo nel quale si producessero scienza e cultura, doveva essere chiaro che bisognava cambiare rotta. Il problema principale dell'Italia è l'arretratezza di un sistema economico che non ha bisogno di personale qualificato perché non sa che farsene del loro valore aggiunto, e che condanna la sua scarsissima popolazione di laureati alla disoccupazione e al precariato.

Rilanciare l'università e la ricerca è indispensabile, se si vuole aumentare il tasso di capacità e di competenza del sistema produttivo e dell'intera società; tagliare queste spese, anche solo per un anno, significa mandare in bancarotta strutture vitali e esiliare una fetta importante della parte migliore della popolazione, e ci vorranno anni, nella migliore delle ipotesi, per riparare il danno. Paradossalmente, l'unico possibile elemento di speranza viene proprio dalla debolezza di questa coalizione e dalla lucidità di una senatrice a vita: Rita Levi Montalcini, il cui voto sarebbe indispensabile per far passare la manovra, ha detto che non la appoggerà se resteranno i tagli. Forse l'unica risposta possibile, a una maggioranza che in pochi mesi sembra aver preso tutti i peggiori vizi del governo all'italiana, sta proprio nel far capire, in modo inequivocabile, che si governa per fare cose degne, e non per esercitare la propria arroganza.