Aprileonline: La notte bianca della ricerca e del precariato
Organizzata da FLC CGIL, CISL FIR e UIL PA UR dell'ISS, presso l'Istituto Superiore di Sanità, nella notte del 13 novembre, alla vigilia dello sciopero della Ricerca, Università ed Alta Formazione Artistica e Musicale che si terrà il 14 e che vedrù una manifestazione nazionale a Roma. Qualche spunto di riflessione per i partecipanti
1. IL CONTESTO EUROPEO: LA STRATEGIA DI LISBONA PER LA CRESCITA E L'OCCUPAZIONE.
Nel marzo del 2000, a Lisbona, il Consiglio Europeo adottò per la Comunità l'obiettivo strategico di "diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica nel mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile per nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale".
L'Europa si era posta come orizzonte temporale per realizzare questo obiettivo generale 10 anni, durante i quali si sarebbero dovute sviluppare nei vari paesi politiche adatte ad incrementare gli investimenti nel campo della conoscenza, attraverso interventi in tema di formazione e ricerca.
Il 2010 è ormai alla porta e dobbiamo constatare con amarezza che nel nostro Paese la strategia di Lisbona è stata completamente disattesa come si evince dai dati di seguito riportati.
2. IL CONFRONTO CON I DATI OCSE/ COMUNITA' EUROPEA SU RISORSE E PERSONALE DELLA RICERCA.
Le risorse impegnate in attività di Ricerca e Sviluppo (R&S) sono pari in Italia ad un misero 1.1% del PIL, presentando livelli tipici delle economie dei Paesi ancora in via di sviluppo piuttosto che di un paese membro del G8; nella classifica sugli ultimi dati disponibili (2005) precediamo solo Paesi come l'Ungheria, il Sudafrica, la Repubblica Slovacca ecc...
Non solo questo investimento è basso, ma è anche molto modesto il suo tasso di crescita: le risorse totali per R&S sono cresciute nel periodo 1997-2004 del 2.4% all'anno, con una performance scadente che ci colloca agli ultimi posti tra i Paesi OCSE.
Scomponendo questo dato, la situazione è assai grave quando si considerano le risorse pubbliche investite in R&S, che sono cresciute nel periodo 2000-2006 di un modestissimo 0.2% all'anno; tra i Paesi OCSE hanno fatto peggio di noi solo Messico e Polonia.
Ma se l'Atene degli investimenti pubblici in R&S piange, la Sparta degli investimenti privati non ride affatto: le imprese italiane spendono soltanto lo 0.8% del valore aggiunto dell'industria, a fronte del doppio (1.6%) della media dei 27 Paesi dell'Unione Europea e di quasi il triplo della media OCSE (2.2%). Per contro, siamo ai primi posti per il sostegno della mano pubblica alla ricerca industriale, preceduti solo da Russi, Slovacchi e Cechi.
In sintesi, nel nostro Paese si investe poco in ricerca: spende poco l'industria, spende poco lo Stato e di questo poco, ne affida molto all'industria, anziché alle proprie istituzioni e questo trend sconfortante non mostra elementi di inversione.
Completano questo quadro negativo i dati che riguardano l'ammontare di personale della ricerca, che ci vede ancora molto lontani da quelli dei Paesi con cui l'Italia dovrebbe confrontarsi: con 3 ricercatrici/ricercatori ogni 1000 occupate/i precediamo a livello OCSE solo Turchia, Cina e Messico e siamo lontanissimi dalla Finlandia, Svezia, Giappone, Danimarca e Nuova Zelanda (oltre 10) nonché dalla media OCSE (circa 7) e dalla media della Comunità Europea a 27 Paesi (oltre 5).
3. CONFRONTO INTERNAZIONALE SUI RISULTATI SCIENTIFICI PRODOTTI IN ITALIA.
A fronte dei pochi investimenti, la ricerca effettuata nel nostro Paese raggiunge invece punte di eccellenza.
Un recente documento elaborato dal Prof. Ugo Amaldi, che commenta un lungo articolo di Sir David King - Chief Scientific Advisor to HM Government - pubblicato su Nature dal titolo "The Scientific Impact of Nations" (1), evidenzia dei dati importanti e, in un clima di scarsa e peggio malevola attenzione alla ricerca, anche sorprendentemente positivi.
Riassumendo, l'articolo di Nature prende in considerazione gli articoli scientifici che negli anni 1997-2001 hanno ricevuto più citazioni, classificati dal Thomson Institute for Scientific Information; che è, come è noto, la massima istituzione nel campo della valutazione delle pubblicazioni scientifiche, fondata nel 1960 da Eugene Garfield, il padre della scientometria; in questa indagine sono state analizzate oltre 8000 riviste scientifiche scritte in 36 lingue. Sono stati adottati criteri assai rigorosi ed è stata presa in considerazione solo la fascia più alta degli articoli citati (comprendente solo l'1% del totale).
Ebbene, in questa elite dei "1% of highly cited publications" il nostro Paese si colloca in un dignitosissimo settimo posto, dietro USA, Gran Bretagna, Germania, Giappone, Francia e Canada, precedendo però paesi quali Olanda, Svezia,Spagna, Danimarca, Finlandia ecc..
Ma quando si vanno a normalizzare questi risultati rispetto al numero di ricercatori e all'ammontare delle risorse investite in R&S - dati che come abbiamo visto vedono l'Italia assai sfavorita - il nostro Paese balza al terzo posto, preceduto solo da Gran Bretagna e Canada, ma essendo seguito da Usa, Francia e Germania.
Dunque, queste elaborazioni mostrano che la nostra ricerca di punta è di ottimo livello e che i nostri (pochi!) fondi sono bene investiti.
4. IL RUOLO DEL PRECARIATO NELLA RICERCA ITALIANA.
In questo panorama di pochi fondi e poco personale, ma buoni risultati, spicca il contributo del personale precario.
A causa degli endemici blocchi nelle assunzioni negli EPR, causate dalle misure generali di risparmi nel Pubblico Impiego, ovvero a causa delle deroghe date con il contagocce, negli ultimi lustri (non anni!) si è dovuto sopperire alla mancanza di personale di ricerca con il reclutamento delle più svariate forme di lavoro precario: dai contratti a Tempo Determinato - quelli con maggiori tutele - ai Contratti di Collaborazione, alle forme più fantasiose (percezione di Partita IVA, persone assunte con contratti da una certa istituzione che invece prestano la loro opera presso un'altra e via discorrendo).
Questo personale ha subito un vaglio selettivo e, cosa che ancor di più conta in ambito scientifico, ha fornito un importante contributo alle ricerche, come testimoniano le centinaia di articolo pubblicati su riviste indicizzate che annoverano tra gli autori per l'appunto ricercatrici e ricercatori precari.
5. L'EUROPA E IL LAVORO PRECARIO
Nel 2005 la Commissione Europea, nell'intento di perseguire il progetto di creare l'Area Europea della Ricerca, elaborò la Carta Europea dei Ricercatori con il codice di condotta per la loro assunzione.
Lo scopo era quello di fornire delle linee guida che servissero a rendere attraente per le persone giovani entrare nella ricerca ("L'esistenza di prospettive di carriera migliori e più visibili contribuisce anche allo sviluppo di un atteggiamento positivo del pubblico nei confronti della professione di ricercatore, spingendo con ciò più giovani ad abbracciare una carriera nel settore della ricerca").
La Carta raccomanda di prevedere per i (giovani) ricercatori carriere con sufficienti garanzie, ad es. pensionistiche; la Linea guida della Carta è di fornire ai giovani ricercatori regolari contratti di lavoro.
Il nostro Paese ha solennemente riconosciuto la Carta, ma ne ha disatteso completamente il significato.
Con la Finanziaria 2007 si era appena avviato un processo di stabilizzazione delle donne e uomini impiegate/i in lavoro precari della ricerca, confermato seppure con alcune restrizioni dalla Finanziaria 2008 .
I recenti provvedimenti governativi rischiano (con una probabilità pericolosamente vicina ad 1!) di farci tornare indietro nel processo virtuoso di valorizzazione della ricerca, schiacciandoci al ruolo umiliante di fanalino di coda dell'Europa della Conoscenza.
BIBLIOGRAFIA
1. D A King . The scientific impact of Nations. Nature. 430: 311-16 (2004)