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Berlinguer: «Meglio leggere molto, serve educazione non costrizione»

Nei Paesi che più all’avanguardia si sostiene che gli insegnanti sono più un allenatore che un trasmettitore di conoscenze. Ecco anche da noi deve essere così.

25/07/2013
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Il Messaggero

ROMA «Il nostro ministro ha ragione da vendere». Non ha dubbi Luigi Berlinguer, una vita dedicata alla scuola. Da quando, nel 1996 (e fino al 2000), è stato ministro della Pubblica istruzione. Sue alcune importanti riforme come quella dei cicli scolastici, l’innalzamento dell’obbligo, la maturità e l’autonomia scolastica.
Onorevole Berlinguer, lei dunque concorda con il ministro Carrozza per i compiti sulle vacanze?
«Sì, ha dato un imperativo categorico per gli studenti: devono leggere, leggere, leggere. E le vacanze sono il periodo in cui si deve leggere di più. Devono anche essere un momento di riposo, di svago. Io mi ricordo che per me erano una gioia. Ma questo non vuol dire che non devono avere una funzione educativa».
La scuola quale strada deve percorrere, allora?
«Ai miei tempi le biblioteche scolastiche quasi non esistevano. Anche ora sono rare. La scuola dei nostri padri era una scuola senza gioia. La nostra scuola deve essere la scuola della gioia, una scuola diversa. I bambini devono poter leggere, devono poter suonare uno strumento, devono dipingere, praticare l’arte. Dobbiamo superare l’idea che l’orario scolastico sia solo al mattino. Anche il pomeriggio e l’estate devono essere occasioni educative. E occasioni educative non costrittive. Perché c’è una funzione educativa anche nel gioco, nello sport, nell’andare a una mostra, nell’ascoltare un concerto».
Dunque una scuola da cambiare.
«Anche il paesaggio è cultura. L’Italia è troppo bella per una scuola come la nostra, che sembra non meritarsela. Si può imparare a parlare le lingue trovando occasioni per incontrarsi. Quale momento migliore dell’estate per conoscere? La lingua si impara parlando, prima ancora di conoscere la grammatica. Noi dobbiamo allenare la mente ma con gioia. È possibile. Si può fare».
Una scuola capace di andare oltre i banchi.
«Noi abbiamo bisogno di una scuola diversa. Che metta al centro il soggetto che apprende. Io insegnante ti do i compiti. E poi cosa succede? Che mi dimentico che esisti. E tu ti arrangi. Se hai una famiglia colta, capace di aiutarti, è bene. Altrimenti te la devi vedere da solo. Invece la funzione della scuola deve essere quella di dare a tutti, nello stesso modo e senza invadenza. Va chiusa la scuola dei banchi, dei neri catafalchi, come diceva la Montessori. E va aperta un’altra scuola. Una scuola che punti sulla gioia, sulle emozioni, sulla curiosità perché questo è l’apprendimento che resta».
Questo vuol dire rivedere la didattica.
«Nei Paesi che più all’avanguardia si sostiene che gli insegnanti sono più un allenatore che un trasmettitore di conoscenze. Ecco anche da noi deve essere così. Saper coinvolgere gli alunni è un compito gravoso. La nostra società ce lo chiede. In molti altri Paesi, appunto, già succede. Per noi questo vuol dire riconoscere agli insegnanti un ruolo sociale di rilievo. Anche con una retribuzione economica all’altezza. L’operazione più importante che dobbiamo fare in questo momento è programmare con loro come deve sviluppare la scuola. Io conosco centinaia di docenti che già sono impegnati in questa direzione. Che stanno provando a cambiare la scuola. Insegnanti che fanno veri miracoli. Deve diventare la normalità».
A. Cam.