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Camusso: Sì riavviciniamoci. Ma partendo dalle regole

«Nessun dubbio che le nostre divisioni siano un elemento di debolezza del mondo del lavoro e quindi il richiamo è giusto. Da qui la necessità di ritrovare le ragioni dello stare insieme».

01/05/2011
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Il Messaggero

LUCIANO COSTANTINI

ROMA «La mancanza di unità sindacale porta al peggio», avverte Giorgio Napolitano. Vero. Susanna Camusso, condivide totalmente le parole del presidente della Repubblica. E, dunque, è necessario ritrovare al più presto un filo comune tra le organizzazioni dei lavoratori. Secondo la leader della Cgil l’unità non può che passare attraverso nuove regole sulla rappresentanza e sulla democrazia. Poi, ovviamente, va abbassato il livello del conflitto. «Sì - dice Camusso - il presidente ha fatto riferimento all’assenza di direzione nella politica del governo. Però quello di Napolitano mi è parso più un appello al fare che all’unità nazionale. Se poi la devo dire tutta, mi è sembrato un appello all’intera classe dirigente, dalle imprese alle organizzazioni sindacali, alla politica rispetto a un Paese che deve tirarsi fuori dai guai».
Il richiamo più forte è stato quello all’unità tra di voi. Cioè tra i sindacati.
«Nessun dubbio che le nostre divisioni siano un elemento di debolezza del mondo del lavoro e quindi il richiamo è giusto. Da qui la necessità di ritrovare le ragioni dello stare insieme».Ed invece, ammetterà, negli ultimi tempi la distanze sono aumentate...
«Rispondo che da una parte per la prima volta nella storia del nostro Paese c’è un governo che agisce per dividere il sindacato, dall’altra sono state costruite, per volontà delle imprese e dello stesso esecutivo, delle regole separate che hanno comportate delle divisioni».
Lei sta dicendo che sono stati soltanto governo e imprenditori a dividervi e non invece ragioni tutte interne di politica sindacale?
«Se le diverse filosofie, che pure ci sono, sono gestite dalle organizzazioni si individuano sempre modalità per governarle. Se c’è chi porta avanti una politica di divisione, be’ questo aggiunge un carico che falsa le regole del gioco».
Scusi, se Cisl, Uil e Ugl assecondano le politiche del governo e dell’imprenditoria o si muovono in una posizione di sudditanza o hanno strategie diverse dalla Cgil. Non ci sono alternative.
«Io credo che ci sia stata una stagione in cui si è immaginato che non ci fossero margini di manovra autonoma. E spero che quella stagione sia finita. L’unità adesso richiede nuove regole di rappresentanza e democrazia, ma anche un grande sforzo di autonomia».
Che magari gli altri non hanno fatto?
«Ritengo che negli ultimi due anni non sia stato sufficiente ad esprimere un profilo autonomo del lavoro».
Come si ritrova, insomma, questa unità, possibilmente in tempi brevi?
«Se le fratture sono gravi, come sono state, bisogna ripartire dalle modalità con le quali si decide chi rappresenta i lavoratori. Poi non sottovaluto che domani (oggi per chi legge) siamo insieme a Marsala per la festa del lavoro».
Anche se a Bologna non è così.«Io sono per valorizzare i fattori positivi. Del resto che fossimo in una stagione di difficoltà lo sapevamo».
Difficoltà anche interne per la sua Cgil. I rapporti con la Fiom...
«Ci sono state risposte giuste sul fatto che non si possono avere per i contratti due vigenze contemporaneamente e apprezzo che venga riproposto il tema su democrazia e rappresentanza».
E la Fiat? Con il Lingotto è sempre guerra aperta?
«Non c’è nulla di nuovo. C’è un’azienda molto sbilanciata sugli Stati Uniti e l’acquisizione di Chrysler e tanti punti di domanda su quale funzione avrà in prospettiva l’Italia. Continuo ad osservare una certa reticenza dal gruppo nel declinare cos’è Fabbrica Italia».Conferma che lo sciopero generale di venerdì prossimo sarà uno sciopero politico?
«Sì lo è perché le politiche economiche sono parte della politica. E politica è occuparsi delle persone e del miglioramento delle loro condizioni».