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«Cara opposizione,più generosità per battere Berlusconi»

Intervista a Guglielmo Epifani

20/12/2010
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l'Unità

Rinaldo Gianola

Dopo aver lasciato la guida della Cgil, Guigliemo Epifani si è messo al lavoro per la costituzione dell’Associazione Bruno Trentin che dovrebbe partire a gennaio con l’obiettivo di coordinare e promuovere le attività di ricerca, studi, confronti dei vari istituti legati alla confederazione. Epifani, tuttavia, non si è messo in panchina e oggi analizza con l’Unità le prospettive politiche ed economiche del Paese.

Epifani, inutile farsi illusioni: Berlusconi è un fenomeno e anche quando appare debole riesce a vincere. Non si riesce proprio a batterlo?

«Viviamo il paradosso del “miracolo” berlusconiano: il paese affonda ma la narrazione che Berlusconi propone ai cittadini trova ancora consenso e appoggi. Questa è la sua grande abilità. Naturalmente io sono convinto che il governo non ha la maggioranza degli italiani dalla sua parte, ha i voti in parlamento grazie a questa sciagurata legge elettorale e alla sua capacità, come abbiamo visto nell’ultima settimana, di strappare consensi, comprare posizioni in Parlamento portando discredito sulle istituzioni rappresentative della nostra democrazia. Questi episodi determinano una caduta verticale della credibilità del nostro Paese nel mondo, all’estero non fanno altro che chiedere ma come è possibile che Berlusconi sia ancora al governo, ancora al suo posto dopo tutto quello che ha fatto?».

Qual è la responsabilità più grave del governo?

«Aver negato e sottovalutato la crisi e i suoi effetti sul tessuto produttivo e sull’occupazione. Siamo al terzo anno della crisi e oggi, non solo noi della Cgil ma anche la Confindustria, possiamo misurare l’assoluta irresponsabilità di chi diceva che l’Italia andava meglio degli altri, che la crisi era già finita. Siamo rimasti indietro, ci siamo crogliolati nella soddisfazione di aver un sistema bancario più sano degli altri paesi,mail governo di centrodestra anzichè lavorare per tenere insieme il Paese ha lavorato per dividerlo, per colpire i lavoratori, i pensionati, i giovani, tutelando invece i grandi interessi. Vorrei ricordare, a questo proposito, Tommaso Padoa Shioppa e la sua vocazione di uomo europeo e di governo a tenere sempre aperto il confronto, il dialogo con le parti sociali, a ricercare l’incontro anche quando le posizioni erano diverse e distanti. Così si alimenta la democrazia, anche se è un’opera faticosa».

Anche gli industriali sono pentiti di aver appoggiato Berlusconi?«

Sorprende che anche la Confindustria esprima posizioni che ricalcano quelle della Cgil di uno, due anni fa. La presidente Marcegaglia oggi critica severamente il governo, denuncia che il Paese non cresce, che siamo in ritardo, ma sarebbe più onesto riconoscere di aver sbagliato. Vi ricordate quando Marcegaglia apprezzava e condivideva le politiche anti-crisi di Berlusconi e la Cgil, da sola, esprimeva la sua opposizione? Vi ricordate quando il governo decise di alzare l’età pensionabile senza tenere conto,come noi proponemmo, di fare qualche cosa subito per le nuove generazioni? Dov’era Confindustria? Ora le imprese si sono accorte che Berlusconi non è credibile, bene, era ora. Adesso partiamo dalle cose concrete».

Quali sono?

«Se vogliamo dare una svolta alla politica economica dobbiamo partire dalla lotta all’evasione e da una tassa sui grandi patrimoni, questa è la strada che anche altri governi seguono. Colpire le grandi ricchezze, anzichè tassare lavoro e imprese, è la scelta più giusta per recuperare risorse da destinare allo sviluppo. Il nostro governo si vanta di aver tenuto saldi i conti pubblici, ma questo non basta se non si lavora, se non si investe per arginare la crisi, per fare ripartire l’economia, le costruzioni, i consumi. Abbiamo perso tempo e occasioni, oggi il Paese rischia grosso ».

 Quali pericoli vede?

 «Stiamo smarrendo la fiducia di potercela fare, il Paese si chiude rassegnato, vive alla giornata, alterna protesta e lamento. Il governo ha favorito interessi e aspirazioni corporative, anzichè cercare di tenere insieme il Paese. Al governo imputo di non aver garantito l’interesse condiviso del Paese. Ad esempio, con gli studenti».

Come vede la rivolta degli studenti? E il pericolo di un ritorno della violenza?

«La protesta dei giovani è un dato importante, segnala le difficoltà delle nuove generazioni nella scuola, nella formazione, nel lavoro. Il governo risponde a queste manifestazioni come se tutto fosse riconducibile a un problema di ordine pubblico. È bene che gli studenti e i giovani prendano nettamente le distanze dalla violenza, è indispensabile che il movimento stia lontano da queste sollecitazioni altrimenti perderebbe la sua credibilità e la sua forza. Ma a questi ragazzi va data una risposta seria, affidabile, altrimenti smarriamo le nuove generazioni, il futuro del Paese. Questo timore sulla caduta dell’Italia non è solo nostro è anche di ceti moderati, di opinionisti e sociologi liberali. L’ultimo rapporto di De Rita descrive proprio questa Italia e queste preoccupazioni».

Poi c’è Marchionne...

«Il caso Fiat più passa il tempo e più si colora di paradossi. Si sta facendo il contrario di quanto sarebbe necessario fare tanto che anche il segretario della Cisl Bonanni ha dovuto suggerire più cautela a Marchionne. Davanti a un nuovo progetto di investimento una volta si sarebbe avviato un confronto tra azienda e sindacati sulla produzione, sui tempi, sui modi, sugli obiettivi, si sarebbe discusso per trovare il modo di rendere più efficiente l’investimento. Con Marchionne si va al contrario. Come ha detto giustamente Susanna Camusso non si lavora per raggiungere un accordo, una mediazione più ampia possibile, si pongono solo condizioni insostenibili, ricatti, si cercano forzature pericolose com’è stata Pomigliano e non sa sa mai cosa si produrrà nelle fabbriche».

Sono passati otto mesi dall’annuncio di Fabbrica Italia, cosa pensa di quanto è accaduto in questo tempo?

«Marchionne non è il diavolo, ma sinceramente non vedo tutta questa innovazione di cui spesso parlano certi commentatori sui giornali. La Fiat si è messa in una posizione che non va bene e non penso solo al rapporto con la Fiom: se Marchionne vuole escludere dalla rappresentanza in fabbrica un’organizzazione come la Fiom qualcuno dovrebbe spiegargli che non è tollerabile per la nostra Costituzione e per la nostra storia. Oggi, mi pare che anche Confindustria e Federmeccanica hanno dei grossi problemi con Marchionne. Mi chiedo dove vuole andare e se davvero vuol fare gli investimenti in Italia».

In questa situazione come le pare lo stato dell’opposizione?

«Il centro sinistra paga ancora la profonda delusione degli elettori nei due anni dell’ultimo governo Prodi. Recuperare consenso e credibilità è un percorso lungo. Qualsiasi progetto di governo deve partire dalla definizione di un profilo chiaro, radicale dell’opposizione. Per questo condivido l’idea di Bersani di lavorare a un programma da sottoporre a tutte le opposizioni. Tocca al pd assumere questo ruolo perchè è la forza più importante dell’opposizione e senza il pd non si da nessuna parte, ci teniamo Berlusconi».

Lei da dove partirebbe?

«Un programma per i giovani, politiche di sviluppo e innovazione, welfare intergenerazionale, profonda riforma della politica fiscale. Io non avrei timore di avanzare proposte forti, radicali, questo è il momento di delineare una vera alternativa a Berlusconi e di spiegare le nostre proposte agli italiani».

C’è un problema di leadership? Agli elettori di centro sinistra toccherà litigare  e dividersi su  Vendola e Bersani?

«Sono d’accordo che qualche cambiamento nelle primarie va fatto, anche perchè penso che le primarie non possono servire per ribaltare i rapporti di forza politici all’interno dell’opposizione. Le primarie non sono una scorciatoia per regolare dei conti tutti all’interno del nostro recinto, non mi piace questa idea. Con le primarie noi scegliamo il candidato alla guida del paese, che è qualche cosa di più importante delle questioni e delle divisioni personali all’interno del centrosinistra. In questo momento così difficile per i lavoratori, i giovani, le famiglie, serve una grande generosità, come insegnava Vittorio Foa dobbiamo offrire modelli positivi per i giovani che verranno».