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Carta-A che serve lo Stato?

5 novembre 2003 A che serve lo Stato? Pierluigi Sullo Mentre tutti discutono di venti o trenta disgraziati che credono di cambiare il mondo sparando alla gente, e naturalmente delle "infiltrazioni...

06/11/2003
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Carta

5 novembre 2003
A che serve lo Stato?
Pierluigi Sullo
Mentre tutti discutono di venti o trenta disgraziati che credono di cambiare il mondo sparando alla gente, e naturalmente delle "infiltrazioni" di costoro nei movimenti, il parlamento, zitto zitto, sta macinando la "finanziaria di guerra" targata Tremonti. Quale tema è più appassionante? Ma il primo, ovviamente, sennò non si spiegherebbero le decine di pagine sui giornali, i Bruno Vespa e le Radio Anch'io, eccetera, in cui si sviluppano argomenti appiccicosi in cui le parole "terrorismo", "violenza", "illegalità", e poi "estremismo", "movimenti" finiscono per diventare sinonimi le une delle altre, e quelli che stanno al governo con chi pensa che i migranti siano "merce", danno lezioni di umanità.
Chi però ne fosse un po' nauseato e avesse voglia di cercare tra le righe di articoli in fondo alle pagine economiche troverebbe eventi curiosi. Ne cito uno solo, che ho trovato istintivamente simbolico di quasi tutto. In commissione è stata approvata, martedì, la seguente norma: chi ha un reddito Irpef superiore a una certa soglia (da determinare), dovrà assicurare obbligatoriamente la sua casa contro le calamità naturali (da definire). In questo modo, spiegano la maggioranza e il governo, lo Stato non dovrà più pagare risarcimenti in caso, appunto, di calamità. E' una notizia fantastica. Ragionandoci sopra, se ne scoprono significati multipli.
Prima di tutto, si sancisce che lo Stato, finanziato dalle tasse dei cittadini (l'Irpef, ad esempio) non ha più per scopo quello di tutelare la gente, di soccorrerla in caso di difficoltà (in questo caso finanziarie). Lo Stato deve prima di tutto spendere meno, a prescindere, salvo poi gettare risorse in ponti-sullo-stretto o eserciti in giro per il mondo.
In secondo luogo, la calamità naturale non è più un fenomeno da prevenire, ad esempio investendo le tasse dei cittadini in cura del territorio, dei fiumi, dell'assetto urbanistico, ma è solamente un problema finanziario inevitabile, di fronte al quale lo Stato si cautela trasferendone l'onere altrove.
E, terzo, dove si trasferisce questo onere? Alle tasche dei cittadini, già alleggerite dalle tasse. Si presume infatti che, avendo le società assicurative scopi di profitto, il numero di coloro che saranno costretti ad assicurare la casa (determinato dalla soglia dell'Irpef che si fisserà) e l'onere dei premi da pagare (in base ai rischi) saranno tali da assicurare a queste società dei guadagni. Altrimenti, perché dovrebbero stipulare delle polizze? L'esperienza di tutti noi, che veniamo legalmente derubati, ogni anno, quando paghiamo l'assicurazione obbligatoria sull'auto, è molto eloquente. Quindi non si tratta solo, come ha denunciato l'opposizione alla camera, di una "nuova tassa sulla casa", ma di una nuova tassa a favore di imprese private. E indovinate chi possiede, tra l'altro, società assicurative? Ma Berlusconi, è ovvio.
Morale: un bene pubblico (la protezione dalle calamità naturali) viene trasformato in un affare (molto) privato, con il vantaggio di poter spendere più denaro per quelle autostrade e quel cemento che hanno aumentato esponenzialmente il rischio di calamità naturali.
Voi pensate che se Bruno Vespa, Radio Anch'io e tutti i giornali in coro si occupassero ossessivamente di questa brillante trovata del governo, i cittadini-telespettatori la troverebbero più o meno interessante del cinquecentesimo "dibattito" sulla parentela tra i brigatisti e quei tipi che vogliono un "mondo possibile" in cui i beni pubblici siano il principio e la fine di ogni politica?