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Carta-Cosa si insegna e cosa si impara nella scuola di tutti-di Alba Sasso

Cosa si insegna e cosa si impara nella scuola di tutti E necessario e urgente riprendere la discussione su "sapere e conoscenza nella scuola di tutti". E' una necessità perché la scuola italia...

03/11/2005
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Carta

Cosa si insegna e cosa si impara nella scuola di tutti
E necessario e urgente riprendere la discussione su "sapere e conoscenza nella scuola di tutti". E' una necessità perché la scuola italiana ha bisogno di elaborare e far vivere un progetto di cultura moderno e democratico. E' un'urgenza dopo il tentativo di restaurazione culturale di questi anni. Basti pensare alle indicazioni per la scuola primaria di primo e secondo grado, proposte dal decreto attuativo per il primo ciclo di istruzione della legge 53; al ritorno, di fatto, al modello dei vecchi programmi ministeriali calati dall'alto- per ogni fascia scolastica-, accantonando ogni ipotesi di progettualità curricolare. All'idea dei saperi come strumenti per approdare, comunque, a una visione "religiosa" e "spirituale" della vita , all'attenzione prevalente all'influsso educativo sulle mentalità e i comportamenti.
Anche sul terreno culturale si gioca una partita di democrazia. Un accesso a un consumo individuale, secondo l'ottica neoliberista, o un diritto da garantire a tutti e per tutto l'arco della vita, in quello spazio pubblico di confronto rappresentato dalla scuola di tutti.
Perciò, torniamo a dire, è urgente riprendere a discutere, e a sollecitare a questa discussione quelle forze della cultura paradossalmente silenziose proprio negli anni del governo Berlusconi.
Tornare a parlare di asse culturale della scuola. Di come possa vivere dentro la scuola quel patrimonio di conoscenze e valori, che costituisce l'identità culturale dell'intero paese, della sua storia ,delle sue prospettive di futuro e di sostanziare con l'analisi e la riflessione sui cambiamenti strutturali, epocali e sociali del nostro tempo le ragioni e le finalità del sistema di istruzione e formazione.
Riflettere su come costruire un' organizzazione del sapere scolastico, che non sia una nuova ratio studiorum, che non riproponga nuovi dogmatismi e nuovi assoluti e su cosa voglia dire oggi essere cittadine e cittadini istruiti. A partire dalla consapevolezza che il sapere non può essere definito una volta per tutte, come illusoriamente in passato si è pensato potesse avvenire, che oggi si costruisce anche a partire dalle esperienze e dalle storie di ognuna e ognuno, che deve avere come obiettivo quello di moltiplicare le prospettive conoscitive e di fornire chiavi di interpretazione della realtà.
La scuola tra 'sapere' e 'saper fare'.
E occorre ragionare sul fatto che, di fronte a una sempre maggiore integrazione di campi di ricerca, linguaggi, concetti, metodologie, dovrà cambiare anche il " sapere insegnato". Si può accettare che i contenuti di base per l'insegnamento delle discipline siano sostanzialmente gli stessi, che venivano insegnati all'inizio del secolo scorso? Sono problemi che riguardano tutte le fasce scolastiche e, con qualche differenza, un po' tutte le discipline e che provo ad elencare.
° un problema di contesto conoscitivo: l'impossibilità di tenere rigidamente separati i confini delle discipline, separatezza che non esiste in natura, ma nella cultura scolastica sì;
° un problema di metodo di conoscenza: nello studio di una disciplina scientifica conta certo la capacità di riconoscere e nominare oggetti e fenomeni, ma soprattutto conta - e questo in ogni disciplina - quella di individuare problemi, formulare ipotesi, interpretare, progettare, sperimentare, padroneggiare concetti; e forse proprio un approccio che mette in moto meccanismi appassionanti di ricerca e scoperta trasforma in memoria, in sapere posseduto, in competenza quanto si è appreso;
° un problema storico-epistemologico: in che modo si possono intrecciare presupposti, teorie, fondamenti e dimensione storica della conoscenza; spiegazione storica e spiegazione scientifica.Ad esempio, nel percorso della scienza, o dell'arte, del pensiero filosofico, della poesia quali sono fatti ed eventi, cambiamenti, scoperte, che segnano continuità e discontinuità?
° un problema di contenuti: come individuare quelli essenziali e irrinunciabili, quelli più significativi da un punto di vista storico/ culturale e più idonei a sviluppare la capacità di apprendere?
Perché, se essere istruiti significa anche governare di una conoscenza le interdipendenze con le altre discipline, le implicazioni storiche sociali e politiche, le etiche soggiacenti, se pensiamo che la scuola debba abituare al ragionamento e alla consapevolezza, a praticare il dubbio e la curiosità, a collegare l'esperienza alla riflessione, a sviluppare criticità ma anche a costruire il senso di sé e del mondo, e a "nutrire un pensiero, per dirla con Edgar Morin, che possa considerare la condizione umana nella terra e nel mondo e che possa affrontare le grandi sfide del nostro tempo" ci sono discipline, intrecci tra discipline, e all'interno dei campi disciplinari contenuti, approcci, concetti più fecondi di altri.
E tutto questo presuppone che si superi quella divisione tra cultura umanistica e cultura scientifica, nata nel secolo XIX e che ha percorso tutto il secolo ventesimo. Può esistere una cultura umanistica, un "scienza dell'uomo", incapace di alimentarsi dei messaggi, concetti, acquisizioni che derivano da un procedere della ricerca scientifica( neuroscienze, biologia, genetica&) che sempre più affronta argomenti intimamente legati alle domande essenziali della vita, e può esistere una cultura scientifica incapace di pensare i" problemi umani e sociali che pone"?
Marcello Cini, che da scienziato propone come asse culturale forte della nuova scuola il nesso storia - scienza, rileva il paradosso di una società che sempre più affida la sua dinamica di sviluppo e la sua stessa sopravvivenza alla ricerca scientifica e all'innovazione tecnologica e al tempo stesso è incapace di trasmettere ai propri figli, attraverso la scuola, un sistema di valori, che giustifichi socialmente ed eticamente questa attività.
Occorre dunque che la scuola voglia e sappia scegliere quel minimo comune, quel syllabus di saperi indispensabile per vivere e orientarsi nel mondo.
E occorre anche ripensare, nel far diventare questo minimo comune sapere, sapere scolastico, sapere organizzato a scuola, e cioè programmi e curricoli, a quello che è ancora il tradizionale impianto della nostra cultura scolastica.
L'impianto culturale della nostra scuola ha finora sofferto il peso del prevalere di una cultura falsamente umanistica, così come è stata intesa, interpretata e trasmessa, che ha privilegiato una dimensione astratta e retorica delle discipline, ha marginalizzato settori importanti della cultura come la scienza e la tecnologia, e ha ignorato totalmente la dimensione del fare e del guardare.
Ha ignorato il mondo che cambiava, ha relegato nella 'modernità da rincorrere' i saperi, i concetti , i linguaggi che, già dal secolo scorso, hanno travolto la nostra storia e la nostra vita, ma che non sono diventati trame, connessioni del nostro sapere.
Per dirla con una bella metafora batesoniana, "la cultura ufficiale non diceva quasi nulla della natura di tutte quelle cose che si trovano sulla riva del mare e nelle foreste, nei deserti e nelle pianure".
Una diversa cultura del fare, allora: e si parla oggi, con insistenza, della necessità di far entrare nella scuola una cultura del lavoro. Ma credo che su questo terreno sarà necessario un grande sforzo di elaborazione e di riflessione. Che significa una cultura della scuola che sappia confrontarsi, esporsi, integrarsi con una cultura della lavoro ma che sappia al tempo stesso rafforzare le sue caratteristiche e specificità ?
La cultura del lavoro è fatta di pratica, di applicazione, di abilità che maturano nel fare ed è comunque finalizzata a un risultato, a una produzione.
Cosa può essere invece necessario conoscere di un sistema produttivo, acquisire della sua organizzazione, quali abilità e competenze mutuare da un contesto di lavoro per imparare a costruire già a scuola, ma per consolidare nel tempo della vita, una professionalità ricca e polivalente, non solo aggiuntiva rispetto a una formazione di base? Una professionalità nella quale ci sia un rimando continuo a quanto appreso nella prima fase della formazione, a un corpo resistente di saperi alfabetici, di conoscenze disciplinari e perché no, di nozioni.

La formazione professionale
E si tratta di sviluppare una riflessione approfondita non solo sulle forme , ma anche sui contenuti della formazione professionale, che voglio sottolineare, non può essere la gamba subalterna del sistema scolastico, a cui si acceda subito dopo la terza media, a causa della riduzione dell'obbligo scolastico,come previsto dalla legge Moratti. Perché non solo non si garantisce, per questa strada, l'uguaglianza del diritto al sapere ma si condanna la formazione professionale a essere rifugio modesto per coloro che abbandonano la scuola, e nemmeno per tutti. Quali possono invece essere oggi i tratti significativi, le caratteristiche, le modalità di una qualificata formazione professionale? Qui c'è un nodo culturale di straordinaria importanza. Nella ridefinizione continua di profili e saperi professionali, nel moltiplicarsi del lavoro immateriale, cosa deve essere la formazione al lavoro? A quali saperi di base deve far riferimento, quali deve rinforzare? In che modo si differenzia la formazione di primo da quella di secondo livello, quali le specificità della formazione superiore integrata?
E, soprattutto, come può e deve questo mondo rapportarsi con la scuola? E la scuola con questo mondo? In un modo molto semplice, io credo, senza subalternità e senza rincorse. Distinguendo, appunto. Perché se è vero che non esiste un sapere che voglia essere significativo che non incorpori anche abilità pratiche, operative finanche esecutive, che non presupponga insomma una competenza, non può esistere una competenza professionale eticamente responsabile, che non incorpori un sapere teorico e che non faccia riferimento a una consapevole visione del mondo e della società.
Negli anni passati si parlava di una scuola che deve fornire competenze capitalizzabili, una terminologia mutuata dai documenti europei, dalla formazione professionale e dalla formazione per gli adulti.
Si coglieva, in quella terminologia, una tendenza un po' sbrigativa a riorientare il sapere della scuola in una direzione un po' aziendalista e un po' economicista, verso una "moderna cultura professionale", in contrapposizione a quanto viene definito lo "stereotipo della cultura disinteressata". Sicuramente oggi occorre ragionare, appunto, senza inutili contrapposizioni. Parlando di saperi per il lavoro, certo, ma soprattutto di saperi di 'responsabilità' e di 'cittadinanza'. Della formazione di soggetti che sappiano in primo luogo vivere e agire la democrazia.
Dobbiamo infine confrontarci con l'apporto e le trasformazioni che il sapere tecnologico e le tecnologie per il sapere possono produrre nel modo di essere della scuola, nel modo di insegnare e di apprendere, nel modo di costruire un ambiente per l'apprendimento.
E c'è da considerare che, perché l'introduzione delle tecnologie per il sapere, abbia un esito felice nell'apprendimento, è necessario introdurre nella scuola sapere tecnologico, sapere che nasce da un diverso rapporto tra esperienza e teoria, che è riflessione pratica e teorica insieme sugli strumenti stessi, esplorazione di un modello possibile della conoscenza.
I tanti bambini in grado oggi di maneggiare i telefonini con padronanza della tecnica sicuramente maggiore di quella delle loro maestre, mentre ancora non sanno leggere e scrivere, potrebbero finire col credere che questa "pratica" sia essa una superflua protesi.
Noi adulti forse possiamo permetterci un atteggiamento ingenuo rispetto a un "mondo di vita tecnologicamente strutturato", per dirla con Habermas, utilizzare come fossero elettrodomestici potenti macchine tecnologiche, perché riusciamo a immaginare la quantità di sapere tecnologico scientifico che esse incorporano, ma loro è di questo sapere che devono riappropriarsi. Perché è vero, come sostengono tanti, che la scuola, proprio la scuola, non riesce a utilizzare le grandi potenzialità generatrici di apprendimento dei supporti tecnici e tecnologici, la possibilità di rendere bambine e bambini, ragazze e ragazzi organizzatori attivi, soggetti responsabili del loro percorso di apprendimento. E su questi terreni ci sono impegni di lavoro difficilissimi ma ineludibili.
E' di tutte queste cose, e sicuramente anche di altre, che bisogna al più presto tornare a parlare.
Ragionando di come la scuola debba oggi confrontarsi con le grandi sfide della contemporaneità: la multiculturalità, il tema delle differenze e delle diversità, l'educazione alla pace e alla legalità e di come debba affrontare problemi legati a nuove e più drammatiche difficoltà di apprendimento, spesso alla caduta di motivazione di studentesse e di studenti.
Anche su questo terreno non partiamo da zero. Ma da quel patrimonio di sapere, di riflessività, di operatività rappresentato dalle migliori esperienze della nostra scuola, e dai tanti documenti e linee di lavoro elaborate nel tempo. Ed è proprio da qui che occorre riprendere il lavoro.