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Carta: Il serial ministro e i suoi amici tornano a colpire

Il governo, senza alcun preavviso, ha abrogato le tariffe agevolate per l'editoria. Conseguenze gravi per i piccoli editori, tra cui Carta, e per molte organizzazioni sociali

07/04/2010
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Carta

Dal primo aprile tutte le tariffe agevolate a favore dell’editoria sono state abrogate, con particolare riferimento alla spedizione degli abbonamenti. Il decreto interministeriale del 31 marzo ha soppresso dunque una norma fondamentale per la sopravvivenza di giornali, riviste, case editrici, ma anche per numerose organizzazioni sociali e le loro iniziative culturali e di informazione. Un nuovo colpo all’editoria, dopo l’eliminazione decisa dal «serial ministro Tremonti» dell’ormai noto diritto soggettivo per i contributi [ripristinato solotanto per il 2009]. In un appello pubblicato sul sito articolo21.org, tra l’altro si legge: «La decisione del governo di cancellare con un decreto le tariffe agevolate per la spedizione di giornali in abbonamento postale apre una ulteriore spaventosa voragine nel settore dell’editoria che provocherà la cancellazione di centinaia di testate e alcune migliaia di posti di lavoro tra giornalisti, amministrativi e tecnici… Il decreto interministeriale, attuato da Tremonti e Scajola, farà risparmiare allo Stato italiano 200 milioni di euro all’anno. Un bel risparmio, per il governo, un esborso gravoso e letale per i piccoli e medi editori», ma che penalizza anche i grandi editori [dal Gruppo Mondadori al Sole 24 ore; il quotidiano di Confindustria ha spiegato come le risorse disponibili – pari a circa 50 milioni di euro – non sono sufficienti a coprire gli esborsi previsti e quindi il credito maturati da Poste per l’applicazione delle tariffe agevolate rischia di restare inesigibile].

Da subito, dunque, gli editori hanno comincirato a sborsare il 120 per cento in più per ogni singola copia. La decisione del governo è arrivata senza alcun preavviso. Anche per Carta l’aumento complessivo per la spedizioni degli abbonamenti è notevole.

Editori e organizzazioni culturali hanno anche spiegato come il canale postale è uno strumento fondamentale di diffusione di libri, soprattutto in quelle zone d’Italia non servite da librerie, e quindi il provvedimento del governo colpirà anche questo mercato. «Riteniamo che debbano almeno essere salvaguardate le riduzioni per tutte quelle pubblicazioni culturali e di informazione che rappresentano e promuovono un bene sociale – si legge ancora nell’appello inviato al presidente della Repubblica e ai presidenti di camera e senato – Per questo motivo chiediamo l’intervento urgente delle tre più importanti cariche istituzionali per far sì che si possano ripristinare, quanto prima, sia l’agevolazione postale che il diritto soggettivo. ‘Salvare il pluralismo dell’informazione evitando allarmismi’, così esortava il presidente Napolitano al Quirinale nell’ottobre 2008. Oggi siamo passati dagli allarmi ai fatti» [per legge l’appello completo e firmarlo cliccate su www.articolo21.org oppure scrivete a direttoreconfronti@yahoo.it]. Tra i primi firmatari: Gian Mario Gillio [direttore di Confronti]; Stefano Corradino [direttore di Articolo21]; Giuseppe Giulietti [portavoce di Articolo21]; Vincenzo Vita [senatore Pd]; Flavio Lotti; Domenico Pantaleo [segretario generale Flc-Cgil scuola].

In rete gira anche un secondo appello firmato da numerose organizzazioni, tre le quali, Amnesty, Coopi, Greenpeace, Medici senza frontiere Terre des Hommes, Unicef Italia, Un Ponte per, Wwf che denunciano come il provvedimento danneggi gravemente tutte le loro attività di informazione e raccolta fondi.
Segnaliamo, infine, il punto di vista di Mediacoop, l’associazione nazionale delle cooperative giornalistiche, editoriali e della comunicazione, secondo la quale siamo di fronte a «un altro duro colpo all’editoria», per «un provvedimento inaccettabile e sbagliato sia nel metodo che nel merito»; Mediacoop ha anche denunciato come «le tariffe agevolate sono stabilite per legge e, pertanto, un decreto interministeriale, in uno Stato di diritto, non può variare una legge». Già, lo stato di diritto.