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«Certificare la qualità senza incentivi Così puniamo le nostre eccellenze»

Il Presidente della conferenza dei Rettori

02/11/2013
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Corriere della sera

«Non possiamo morire di cavilli amministrativi».
Stefano Paleari, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane e alla guida dell’ateneo di Bergamo, rinuncia al suo proverbiale equilibrismo («sono considerato un diplomatico, anche nella valutazione e nei giudizi») per commentare la notizia che dal decreto scuola sono spariti i quarantuno milioni di euro previsti per gli atenei virtuosi. I soldi c’erano, ma un problema tecnico non ha permesso lo stanziamento.
Cosa la amareggia di più?
«Mi si può spiegare che è un fattore tecnico, che ci sono delle ragioni precise e insormontabili, ma sono stato a Stoccarda da poco, dove l’ateneo ha 26 mila studenti e i finanziamenti statali sono sette, otto volte quelli italiani. È stupefacente vedere come a fronte di una volontà politica precisa di trovare le risorse per valorizzare il merito, e addirittura in presenza di quei fondi, poi non se ne sia fatto nulla».
Lei lo aveva chiesto in una lettera indirizzata lo scorso settembre al premier Enrico Letta e al ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza: un segnale al merito e ai giovani.
«Sì, due proposte semplici da inserire nella legge di stabilità. Ci sembrava che il messaggio fosse stato recepito. Le università si sono sottoposte alla valutazione della loro attività di ricerca sulla base di parametri internazionali da parte dell’Anvur, l’agenzia di valutazione dell’università e della ricerca: ci aspettavamo che a questo corrispondesse una sensibilità finanziaria correlata ai risultati, non una distribuzione a pioggia. Questa è cultura delle punizioni. Quale messaggio stiamo dando ai giovani?».
Lo dica lei.
«Sono segnali pessimi. Dal 2009 a oggi il costo dell’università è passato da sette miliardi e mezzo a sei miliardi e mezzo di euro, il numero dei ricercatori è sceso da 62 mila a 52 mila: chi è uscito per ragioni di anzianità non è stato sostituito. Siamo l’unico comparto della pubblica amministrazione che ha subito questa riduzione di finanziamenti e di organici. Cos’altro dobbiamo fare? Ovvio che poi i ragazzi se ne vanno. In tutto il mondo, non soltanto in quello occidentale, l’università è considerata uno dei pilastri sui quali costruire la competitività del Paese. Perché in Italia è l’ultima delle preoccupazioni?».
Non si può dire, però, che la crisi stia risparmiando qualche settore...
«In Germania l’università costa 25 miliardi all’anno, in Francia venti, in Inghilterra, malgrado quanto paghino gli studenti, lo Stato finanzia per dieci miliardi. E, restando in Germania, realtà che conosco giacché faccio parte del board dei rettori europei, laggiù non solo studiare costa di meno, ma il rettore ha la possibilità di modulare gli stipendi dei ricercatori sulla base del merito».
Perché la cultura del merito fa così paura?
«Posso dire che oggi i ragazzi costruiscono la loro posizione nella società aperta sulla base dell’impegno profuso e in funzione delle loro qualità. La loro generazione è estremamente competitiva. Ma l’affermazione della qualità e del merito può avvenire solo se trova collateralmente gli incentivi per essere promossa, altrimenti si trasforma in cultura della punizione».
 Elvira Serra