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Chi va al nido poi a scuola fa meglio Ma al Sud è quasi impossibile

Studio svimez: Campania e calabria maglia nera

07/07/2015
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ItaliaOggi

Angela Iuliano

Bravi in italiano e matematica? Se si è andati al nido è più facile. Mostra il forte legame tra la frequenza degli asilo nido fra i bambini 0-2 e le performance in italiano e matematica degli alunni della seconda primaria lo studio Svimez «Il più prezioso dei capitali. Infanzia, istruzione, sviluppo del Mezzogiorno», elaborato da Vittorio Daniele sulla base dei dati Invalsi a livello regionale. Quasi un bambino trentino su 4 frequenta gli asili nido, il 23%, e in seconda primaria registra in matematica punteggi superiori a 210, seguiti da friulani (208), marchigiani e piemontesi (206). In italiano i risultati degli alunni trentini superano i 2010, seguiti a pari merito da Marche, Piemonte e Friuli Venezia Giulia (207), regioni che vedono rispettivamente il 17%, il 15% e il 20,7% di bimbi frequentare il nido. In Campania e Calabria, invece, neanche 3 bambini su 100 vanno al nido e registrano nelle due discipline punteggi di circa 20 inferiori ai trentini: 192 punti in italiano, 196 2 193 in matematica.

A parte il Molise con l'11% delle frequenze, nel Mezzogiorno i bambini che vanno all'asilo nido sono davvero pochi. In Abruzzo e Basilicata meno di uno su dieci: solo rispettivamente il 9,5% e il 7,3% del totale. Le cifre scendono ancora man mano che si corre giù lungo lo Stivale. In Sicilia solo 5 bambini su 100 vanno all'asilo, 4,5% in Puglia, e addirittura ancora meno in Campania (2,8%) e Calabria (2,5%). In pratica i bambini calabresi frequentano l'asilo in misura dieci volte inferiore ai bambini emiliani, che vanno al nido nel 26,5% dei casi. Non basta. Analizzando il Pil pro capite delle diverse regioni, lo Svimez osserva che dove c'è più ricchezza si trova anche una maggiore diffusione dei servizi pubblici per l'infanzia.

Del resto, sottolinea lo studio, stime del 2013 mostrano che aumentare dell'1% il numero dei posti nei servizi di childrencare pubblici fa crescere dell'1,3% la possibilità che la madre lavori. «Poiché l'investimento nell'infanzia è quello con il maggior rendimento sociale ed economico, data l'elevata plasticità di processi di formazione del cervello nei primi 5 anni di vita – spiega Daniele -, ridurre le disuguaglianze di partenza dovrebbe essere una priorità per la politica di riequilibrio territoriale». Il capitale umano, infatti, non è soltanto il risultato dell'investimento in istruzione o formazione sul lavoro, ma anche il risultato dell'investimento sull'infanzia: una relazione però poco studiata in Italia.

Secondo ricerche americane non replicabili in Italia per assenza di dati, interventi a favore di bambini svantaggiati in età prescolare 0-5 anni hanno un tasso di rendimento annuo del 7-10% sull'investimento fatto. In altri termini, per ogni dollaro investito in quella fascia di età, il bambino renderà da 7 a 10 volte l'investimento. Quindi, osserva lo Svimez, investire sui bambini paga di più che sui liceali o sugli universitari.