«Col sindacato si tratta» Il giudice condanna tre dirigenti scolastici
Sono presidi di Imola, Ozzano e Porretta. Avevano dato una interpretazione «estensiva» del decreto Brunetta sull’impiego del personale. Cgil e Cisl vincono il ricorso
Valeria Tancredi
Una sentenza lungamente attesa dal mondo della scuola che fa finalmente chiarezza sulla corretta interpretazione del decreto Brunetta in relazione alle normative contenute nel contratto nazionale è stata emessa 5 giorni fa dal Tribunale del Lavoro di Bologna. Il giudice Maurizio Marchesini ha dato ragione a Fp-Cgil e Cisl scuola che lamentavano un comportamento antisindacale da parte dei tre dirigenti scolastici dell'Istituto comprensivo 6 di Imola, di quello di Ozzano dell'Emilia e di quello di Porretta Terme condannando il ministero dell'Istruzione al pagamento di 3.000 euro di spese processuali. Il ricorso,hanno spiegato gli avvocati Giorgio Sacco e Guido Reni, è nato dal rifiuto dei tre dirigenti di inserire nella contrattazione decentrata alcune materie indicate nell'articolo 6 del contratto nazionale della scuola, perché ritenevano che il decreto Brunetta affidasse loro anche quelle competenze. Le materie in questione sono: utilizzo dei docenti e del personale Ata in relazione al piano dell'offerta formativa e a quello delle attività; assegnazione alle sedi distaccate ed ai plessi; ritorni pomeridiani; articolazione dell'orario di tutto il personale e criteri per l'individuazione di quello da destinare alle attività retribuite con il fondo d'istituto. Il giudice ha invece chiarito che quei temi non rientrano negli ambiti che la legge «vieta esplicitamente alla contrattazione collettiva» perché si tratta di materie «di confine tra l’ambito della concreta organizzazione del lavoro», escluso dalla contrattazione, e quello, si legge nella sentenza, «dell’effetto che le scelte organizzative esercitano sulle condizioni di lavoro degli addetti ambito che invece è compreso nella contrattazione collettiva». In sintesi, un dirigente ha diritto di decidere, ad esempio, che un certo numero di bidelli debba essere trasferito dalla sede centrale a quella decentrata, ma la modalità di attuazione di questa decisione deve essere concordata con i sindacati. E questo perché questa contrattazione, continua il giudice, non solo «non interferisce con le decisioni organizzative e di gestione di pertinenza del dirigente, ma ne esplicita la trasparenza ai fini della concreta attuazione dei principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione ». Alla luce di tutto ciò, scrive Marchesini, «non appaiono facilmente comprensibili le ragioni del rifiuto» espresso dai presidi secondo un assunto «immotivato e non argomentato». Anche perché gli stessi presidi sono andati avanti per la loro strada nonostante il parere negativo che avevano ricevuto dal Ministero da loro stessi interpellato. I tre infatti, si legge in sentenza, «si sono addirittura posti in aperto e voluto contrasto con le indicazioni ricevute dai competenti organi ministeriali». Pertanto il giudice ha ordinato «la cessazione del comportamento antisindacale e la rimozione degli effetti » condannando il Ministero al pagamento delle spese processuali. Esultano i sindacati, Sandra Soster della Cgil e Patrizia Prati della Cisl scuola hanno così commentato: «Il contratto nazionale di lavoro della scuola va rispettato e gli “uomini soli al comando” evocati dalla legge Brunetta non hanno posto nella scuola pubblica»