Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Come figli miei: la pedagogia della resistenza in una scuola “al confine”

Come figli miei: la pedagogia della resistenza in una scuola “al confine”

La preside si racconta e racconta la realtà di Caivano, periferia di Napoli, durante una puntata de “I dieci comandamenti”, trasmessa dalla Rai e condotta da Domenico Iannacone.

09/11/2018
Decrease text size Increase text size
Il Sole 24 Ore

Antonella Bonavoglia

"Sono qui quasi per caso e quando sono arrivata, tutto sembrava tranne che una scuola”. Gli occhi lucidi, un sorriso aperto e una voce impetuosa, di una consapevolezza e una forza disarmanti. A parlare è una donna, una madre e, prima di ogni cosa, una preside, Eugenia Carfora, diventata simbolo di una scuola che resiste.

In certi luoghi, il confine tra bene e male sembra assottigliarsi e diventa facilissimo oltrepassarlo, soprattutto per i più giovani. L’Istituto professionale “Morano” si trova proprio lì, su quel confine quasi invisibile, in un luogo dove la dispersione scolastica raggiunge i più alti livelli d’Italia, ed è oggi una delle poche porte aperte verso il futuro.
La preside si racconta e racconta la realtà di Caivano, periferia di Napoli, durante una puntata de “I dieci comandamenti”, trasmessa dalla Rai e condotta da Domenico Iannacone.

Una scuola che vive il disagio socio-culturale di un agglomerato urbano e umano fatto di povertà e criminalità, di abusi e droga, dove lo Stato sembra distante e assente.
“Prima della riqualificazione strutturale” spiega la Dott.ssa Carfora “i ragazzi erano relegati in aule che sembravano ghetti, in un’ala dell’istituto a dir poco vandalizzata. Ho trovato persino una pistola sepolta nel giardino antistante. Mi veniva da piangere”.

Mi sono emozionata nel sentirla, nel vedere la sua passione, che è anche la mia e mi sono domandata da dove si possa partire quando tutto sembra perduto, quando sembra che la lezione in classe non basti, quando il processo di apprendimento è ostacolato da problematiche familiari, da disagi sociali, da eventi esterni che turbano il percorso formativo.

Bisogna innanzitutto riabilitare il concetto di legalità e rendere la scuola fruibile, attraverso la creazione di codici di comportamento che siano la base da cui partire per costruire una comunità educante efficace. Rendere fruibile la scuola significa predisporsi, in qualità di educatori, ad essere sostegno e guida allo stesso tempo. Quando un alunno si allontana dalla scuola, è una sconfitta per la società intera.

La scuola dovrebbe essere un baluardo della legalità, poco indulgente con chi trasgredisce, ma sempre aperta al confronto costruttivo, pronta a interagire col territorio, in ogni momento, in nome del diritto all’istruzione. Lo scopo e il fine ultimo dell’insegnamento e della formazione, lo si avverte nel lavoro di tutti i docenti che, agiscono ogni giorno, in realtà disgreganti e  difficili, per il bene dei ragazzi. Se serve, si vanno a prendere gli alunni a casa o nei bar, perché l’istruzione è un diritto ed è l’unica porta verso il futuro.

“Il dolore più grande per una preside, per un educatore, è perdere i ragazzi. In queste realtà difficili, la differenza la deve fare la scuola” continua la dirigente Carfora. La scuola come una luce in mezzo al buio.Questa, è la pedagogia che non ho studiato, perché difficilmente la si può spiegare. La si vive e basta, si plasma giorno dopo giorno attorno agli alunni. Questa è la pedagogia che nasce dall’inesauribile desiderio di difendere i sogni e il futuro dei ragazzi e delle ragazze; è la pedagogia della resilienza e della resistenza, che vive e opera anche dove sembra impossibile, che semina anche dove sembra non ci sia terreno fertile. E’ la pedagogia di tutti gli educatori che tengono aperta una porta, che danno possibilità, che offrono soluzioni, che indicano la strada.

Quando il confine tra bene e male è così impercettibile, allora insegnare diventa quasi un atto eroico, una specie di missione, che non finisce col suono della campanella. “Io, quando sono a casa penso a loro”, racconta un professore di matematica dell’Istituto di Caivano, “penso ai miei ragazzi, sono come figli miei. Un alunno che ha il padre o il fratello in carcere, ha bisogno di un adulto che lo aiuti a reggere il dolore. Vallo a spiegare tutto questo”.

Già. Vallo a spiegare che, in certi casi, i progetti, le programmazioni a lungo termine, le riunioni, la burocrazia, servono a poco. Per prevenire la dispersione scolastica  serve l’azione, la sinergia, la tempestività negli interventi e tanta, tantissima umanità. Quanto fondamentale sia l’aspetto emotivo dell’insegnamento e l’umanità degli educatori, lo scopro quotidianamente, perché se le competenze sono necessarie, i bisogni affettivi rappresentano  la struttura del percorso formativo di una persona.

Non è forse questo il senso vero dell’ educare? Difendere i sogni e dare possibilità. Accogliere ciascuno e accompagnare tutti verso il traguardo. D’altronde la scuola, per me, non può che essere questa. Una fabbrica di speranza, un baluardo di legalità, una risposta alle domande, una strada da percorrere, una mano tesa, una luce sempre accesa. Un luogo accogliente, insomma,  fatto da docenti ed educatori pronti a difendere i sogni e il futuro di tutti i ragazzi e le ragazze. Pronta sempre a difendere i sogni e il futuro dei ragazzi, che sente “come figli suoi”.


Nonno, cos'è il sindacato?

Presentazione del libro il 5 novembre
al Centro Binaria di Torino, ore 18.

SFOGLIALO IN ANTEPRIMA!