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Compiti a casa

di Marina Boscaino

11/02/2014
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da Adista
di Marina Boscaino

​Un evergreen della ciancia nostrana è la questione dei compiti a casa. Periodicamente si ripropone e viene riproposta e riportata all'attenzione di media e pubblico da qualche ministro a corto di idee. E prontamente rimbalza di bocca in bocca, si insedia nei salottini televisivi, smuove l'attenzione di qualche editorialista dalla penna facile. Non intendo dire non si tratti di un tema interessante; mi limito, semmai, ad osservare l'assoluta superficialità con cui viene affrontato. Persino dai ministri competenti.

In Francia, un paio d'anni fa, il caso divenne talmente centrale che Hollande fu costretto a prendere una posizione inequivocabile contro i compiti a casa. Da noi, sulla scia del laboratorio francese, si sono espressi in tanti, a partire dai due ultimi inquilini di Viale Trastevere.

«Oggi i ragazzi ricevono molti stimoli anche dall’ambiente extrascolastico e quindi deve cambiare la struttura dei compiti e delle lezioni». «Se oggi si dà una versione di greco o latino, mi racconta mia moglie che è insegnante, quasi sempre la traduzione si trova su internet. Insomma, dobbiamo essere più “smart” dei ragazzi». Più furbi, certo. Ma forse sarebbe il caso di una seria riflessione sull’uso consapevole delle tecnologie; e, prima ancora, forse, sul senso della traduzione dal latino e dal greco. Erano pillole di saggezza del non rimpianto Profumo, in una delle sue numerose quanto dilettantistiche affermazioni su un tema – la scuola – del quale ha costantemente dimostrato di essere all'oscuro.

Non più significative le uscite di Carrozza che almeno, rispetto al suo predecessore, con il quale condivide l'incompetenza in materia di istruzione, non affida le sue comunicazioni a progetti tanto "visionari" quanto generici e demagogici. Dopo la raccomandazione ai docenti di non assegnare troppi compiti prima della pausa natalizia, da Fazio Carrozza ha affermato che il lavoro a casa deve essere «equilibrato ed equo», «ma bisogna lasciare spazio anche alle arti: dai musei ai libri».

Queste le risposte di una parte della nostra accademia (quella consultata, perché ci si guarda bene dall'interpellare pedagogisti o esperti di didattica) su un tema che in tempi di vuoto di idee o di volontà di stornare l'attenzione da problemi ben più gravi, quali quelli che hanno assalito il sistema dell'istruzione da molti anni, viene frequentemente tirato in ballo.

Non grava infatti sul nostro sistema scolastico esclusivamente la zavorra degli 8 mld di euro tagliati, ma anche l'assenza di un serio dibattito sul perché, sul cosa e sul come insegnare; sulla relazione educativa e sulla cura; sugli antidoti alla dispersione, alla dissipazione e al ritardo scolastici, che pesano come macigni sull'Italia di oggi e sull'Italia che sarà. Gli unici balbettii in proposito hanno coinvolto, naturalmente, la panacea delle tecnologie, in una visione miracolistica che affida loro la risoluzione di tutti i problemi. E allora, si continuino le danze: compiti sì, compiti no. Esperti dell'improvvisazione e del buon senso riempiono il silenzio pensando che noi non si sappia riconoscerlo dietro fiumi di parole inutili.