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Corriere: a Gelmini: via dalla scuola i prof che fanno politica

«Ci sono dirigenti e docenti che non applicano la riforma»

14/09/2009
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Corriere della sera

L’intervista Il ministro: dal prossimo anno solo il 30% di immigrati per classe

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ROMA — «Ci sono alcuni dirigenti scolastici e insegnanti, una minoran­za, che disattendono l’attuazione del­le riforme». In che senso disattendo­no? «Ad esempio vogliono mantenere il modulo anche se il modulo è stato abolito con il passaggio al maestro unico prevalente». Alcuni docenti, co­me sa, non condividono la riforma. «Criticare è legittimo ma comportarsi così significa far politica a scuola e questo non è corretto. Se un insegnan­te vuol far politica deve uscire dalla scuola e farsi eleggere. Quella è la se­de per le sue battaglie, non la catte­dra ». Comincia l’anno scolastico, il mi­nistro della Pubblica istruzione Maria­stella Gelmini ha appena fatto gli au­guri («in bocca al lupo») agli 8 milio­ni di studenti che da oggi torneranno in classe. Ma, con la protesta dei preca­ri e la manifestazione annunciata dal Pd, questo primo giorno di scuola sembra portare con sé nuove tensio­ni.

Ieri, sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia ha paragonato il ruolo del ministro dell’Istruzione a San Se­bastiano, bersagliato da ogni parte e destinato quasi sempre a scontenta­re tutti. Lei è su quella poltrona da un anno e mezzo, si trova d’accor­do?

«È vero, è un ruolo complicato ma non mi sento un ministro particolar­mente contestato. Tempo fa, ricordo, ne parlai con il mio predecessore Lui­gi Berlinguer».

Anche lui ebbe qualche guaio.

«Con un certo senso dell’umori­smo mi disse che ero molto fortunata perché il vero inferno l’aveva vissuto lui, criticato anche dalla sua stessa maggioranza».

Lei non ha questo problema ma oggi ci saranno manifestazioni di protesta in tante città.

«Rispetto chi contesta ma sono con­vinta che si tratti di un numero molto limitato di persone».

Limitato?

«Limitato rispetto ai tanti genitori e studenti che non si vogliono più ac­contentare di una scuola mediocre. E che non vogliono sentir parlare solo di organici e di curriculum ma di scuo­la come luogo di educazione, di un servizio che dovrebbe stare a cuore a tutti. Come gli ospedali».

Per rimettere ordine nel campo dell’istruzione Galli della Loggia si augura proprio uno sforzo congiun­to di tutte le forze politiche interes­sate al bene del Paese. Lei ci crede?

«No. Nella mia prima audizione in Parlamento avevo auspicato che tutte le riforme venissero affrontate con uno spirito bipartisan. Dopo un anno, dalla sinistra non ho sentito proposte ma solo invettive contro il governo: se necessario, quindi, andremo avanti da soli. Su questo punto sono delusa dal mio predecessore, Giuseppe Fioro­ni ».

Alcune riforme del ministro Pd, ad esempio sull’istruzione tecnica e sulla formazione, lei però le ha con­fermate.

«Sì, perché sono decisioni che con­divido. Ma credo che ormai Fioroni debba scegliere se fare il responsabile istruzione del Pd, e quindi lavorare per il bene della scuola italiana, oppu­re fare politica punto e basta. Nessuna sorpresa se lui gioca una partita in vi­sta del congresso del suo partito ma non usi la scuola come strumento del­la contesa tra Franceschini e Bersani. La scuola non può essere il luogo del­la protesta della sinistra e della Cgil».

Intende dire che la protesta dei precari è strumentalizzata dalla sini­stra?

«La protesta esprime un disagio rea­le che va rispettato. Ma la sinistra pre­ferisce salire sui tetti per esprimere la solidarietà ai professori e cavalcare il disagio sociale senza assumersi re­sponsabilità per il passato».

Sono solo loro le responsabilità? In questi anni ha governato anche il centrodestra.
Sono responsabilità che vengono da lontano. Per anni, complici i sinda­cati, si è data la sensazione che ci fos­se spazio per tutti quelli che volevano fare gli insegnanti, per poi lasciarli in graduatoria anni ed anni. Sono state vendute illusioni che si sono trasfor­mate in cocenti disillusioni».

Ma chi aspetta un posto da 20 an­ni ed è ancora precario ha forse tor­to a scendere in piazza e chiedere una cattedra, uno stipendio?

«No, certo. Credo che nei prossimi cinque anni, grazie ai prepensiona­menti, la gran parte di questi precari verrà assorbita negli organici. Ma è fondamentale impedire che nel frat­tempo si allunghi di nuovo la coda. Per questo abbiamo chiuso le sis, le scuole di specializzazione per l’inse­gnamento, e introdotto il numero pro­grammato ».

È vero che il Quirinale ha espres­so dubbi sull’inserimento della nor­ma salva precari nel decreto Ronchi sulle violazioni comunitarie? Servirà un decreto ad hoc?

«Dal Colle non ci è arrivata nessu­na comunicazione ufficiale. Se arrive­rà la rispetteremo anche se resto con­vinta della nostra scelta. In ogni caso sarebbe uno slittamento di pochi gior­ni ».

Ministro, gli stranieri sono sem­pre più numerosi nelle nostri classi. In alcuni casi si arriva al 97 per cen­to degli studenti: va bene così?

«No, rischiamo di creare delle clas­si ghetto. Dall’anno prossimo ci sarà un limite del 30 per cento. Volevamo introdurlo già quest’anno ma non c’erano i tempi tecnici per procede­re ».

L’inglese alla scuola media. La possibilità di aggiungere due ore al­le tre già previste si è scontrata con le ordinanze del Tar del Lazio. Ci ri­proverà l’anno prossimo?

«È vero che ci sono delle difficoltà applicative. Ma, compatibilmente con gli organici, è una strada percorribile già quest’anno. È stata chiesta dal 15 per cento delle famiglie».

E per l’università? Quando crede che arriverà in porto la riforma?

«Tra ottobre e novembre partirà l’esame in Parlamento, spero che il prossimo anno sia operativa».

Anche quest’anno ci sono stati er­rori nei test d’ingresso. È un model­lo da modificare?

«Per medicina c’era solo un errore sul sito internet, l’abbiamo corretto e il quesito sarà conteggiato. Mentre per architettura stiamo valutando se non tener conto di una domanda che forse non era chiara. In futuro i test non saranno più gestiti dalle singole università ma nazionali, per ogni fa­coltà. Così sarà possibile indirizzare ogni ragazzo verso la facoltà più adat­ta al suo talento ed al suo merito».

Lorenzo Salvia