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Corriere-America difficile per studenti e ricercatori

America difficile per studenti e ricercatori Le rigide regole su visti e sicurezza frenano gli ingressi degli stranieri. Per la prima volta calano gli allievi E' questa, forse, l'eredità più...

23/11/2004
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Corriere della sera

America difficile per studenti e ricercatori

Le rigide regole su visti e sicurezza frenano gli ingressi degli stranieri. Per la prima volta calano gli allievi

E' questa, forse, l'eredità più pesante dell'11 settembre. L'America spende miliardi per le tecnologie antiterrorismo - dalle macchine che annusano gli esplosivi ai "raggi x" per esaminare i contenuto dei camion - ma il prezzo vero della sua "blindatura", iniziata con il Patriot Act, la legge varata poco dopo l'attacco alle Torri Gemelle, lo paga altrove: la perdita di attività economiche dovute alla stretta sui visti ha già superato i 30 miliardi di dollari. E poi il danno - non quantificabile ma in prospettiva comunque enorme - di un minor afflusso di "cervelli" stranieri, che da decenni sono il motore dei principali successi scientifici e industriali del Paese. Qualche giorno fa l'Institute for International Education ha comunicato che quest'anno gli studenti delle università americane provenienti dall'estero sono diminuiti del 2,4 per cento. Può sembrare un fenomeno marginale, visto che gli universitari stranieri sono comunque un esercito: 572 mila. Ma non accadeva da decenni e, soprattutto, l'attivismo degli atenei che cercano comunque di non perdere la quota di studenti provenienti dall'estero per ora lascia in ombra un dato più serio: nell'ultimo anno le domande presentate agli atenei americani hanno subito un vero crollo, meno 32 per cento.
Gli studenti sono stanchi di aspettare i visti (in media il rilascio avviene dopo 67 giorni, ma si moltiplicano i casi di giovani - provenienti dal mondo arabo, ma anche da Cina, Russia, India e altri Paesi emergenti - costretti ad attendere un anno o più), si sentono umiliati dalla severità dei controlli alla frontiera e dalle restrizioni che spesso, una volta giunti negli Usa, rendono problematici brevi rientri nel proprio Paese per le vacanze o un impegno familiare. Così, sempre più spesso decidono di rivolgersi alle università locali (India e Cina hanno cominciato a creare poli di eccellenza in varie discipline) o a quelle della Gran Bretagna e dell'Australia, che spesso sono altrettanto qualificate e molto meno costose di quelle americane.
Un fenomeno che allarma - il Washington Post accusa il governo di "affamare la scienza" - e spinge molti a prevedere che prima o poi gli Usa perderanno la loro leadership nelle tecnologie più avanzate. I primi indizi sono già lì: un calo del numero dei brevetti registrati negli Stati Uniti, meno pubblicazioni scientifiche, meno premi e riconoscimenti internazionali, mentre cresce il numero dei Nobel europei e asiatici.
In realtà questo pericolo è limitato: il vantaggio accumulato dagli Stati Uniti nel dopoguerra è talmente ampio che soltanto un'involuzione che si protraesse per molti anni potrebbe metterlo in discussione. Ma l'erosione produce comunque danni rilevanti. Le storie sono ormai centinaia: c'è il laboratorio della Florida che ha bisogno di un esperto di "mucca pazza", malattia che comincia a fare capolino anche da questa parte dell'Atlantico, ma deve aspettare mesi che le autorità rilascino il visto all'esperto prescelto, un cittadino svizzero. E c'è l'accademico indiano di grido conteso da tre università americane (Harvard, Duke e Chicago) ma finito ad insegnare in Canada dopo aver atteso inutilmente per un anno un visto dal consolato Usa.
Come italiani abbiamo poco da scandalizzarci: da noi le procedure di ammissione di studenti (e uomini d'affari) extra Ue, possono essere perfino più laboriose, e non per problemi di lotta al terrorismo. Ma per l'America il fenomeno è più preoccupante perché il Paese sa che gli emigranti e i loro figli sono i motori della prosperità del Paese, anche in campo scientifico. Ogni anno l'Intel seleziona in un concorso giovani talenti nelle tecnologie informatiche: i finalisti sono per il 60 per cento figli di immigrati arrivati con un permesso di studio o un visto di lavoro provvisorio, così come figli di immigrati sono i due terzi dei partecipanti alle Olimpiadi Usa della matematica.
Le autorità americane hanno preso coscienza del problema e, pressate dai gruppi industriali, hanno promesso di snellire le procedure. Ma sulla sicurezza, avvertono, non si possono fare compromessi. Quello che accade, però, non è soltanto il pedaggio per la blindatura dell'America: la legge di bilancio per il 2005 approvata due giorni fa dal Congresso contiene, tra mille tagli di spesa e centinaia di elargizioni "sottobanco", anche un comma che consente di aumentare di 20 mila unità (da 65 a 85 mila) i permessi d'ingresso per lavoratori specializzati stranieri.
Un incremento minuscolo se si considera che fino a qualche anno fa venivano concessi 200 mila visti di questo tipo e che la quota dei 65 mila permessi per il prossimo anno era andata esaurita già il primo ottobre, il giorno in cui le imprese potevano cominciare a inoltrare le loro domande. Le aziende protestano, affermando che per alcuni lavori specializzati non trovano manodopera preparata in America, ma il Parlamento si è mosso ugualmente con grande prudenza e non per paura dei terroristi: è soprattutto la perdita di posti di lavoro nelle tecnologie dell'informazione e l'outsourcing di alcune funzioni d'impresa, che vengono ora svolte da uffici trasferiti all'estero (in genere in Asia), a rendere i parlamentari particolarmente guardinghi. Anche perché hanno il fiato sul collo dei sindacati.
Così, però, rischia di incepparsi un pezzo della macchina produttiva americana. E mentre conferenze scientifiche devono essere rinviate, cancellate o trasferite all'estero perché non arrivano i visti per i relatori, e le industrie farmaceutiche lamentano interruzioni delle loro ricerche che richiedono l'intervento di specialisti stranieri, il Financial Times racconta la rivolta di un gruppo di imprenditori cinesi: dovevano esporre i loro prodotti alla fiera dell'elettronica di consumo che si svolgerà tra sei settimane a Las Vegas, ma nemmeno loro hanno avuto il visto. Ora tutta la delegazione minaccia di ritirarsi e di iscriversi alle manifestazioni europee, rinunciando a quelle in territorio americano.
Massimo Gaggi