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Corriere: Cina, l'ultima rivoluzione: via Mao dai libri di scuola

Shanghai riforma i testi: è più importante Bill Gates La città simbolo della corsa verso il futuro confina il Grande Timoniere in un paragrafo che parla di «etichetta diplomatica»

02/09/2006
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Corriere della sera

DAL NOSTRO INVIATO
PECHINO — In fondo, parlando proprio dello studio, lo diceva anche il presidente Mao: «Possiamo imparare quel che non sappiamo. Non siamo soltanto capaci di distruggere il vecchio mondo, ma anche di costruirne uno nuovo». Ogni giorno la Cina sente di avere davanti a sé un mondo nuovo e ha deciso che la scuola non dev' essere da meno. Le lezioni di ieri non vanno più bene. Servono strumenti aggiornati.

Persino se a farne le spese saranno Mao Zedong e il comunismo. Mano ai libri: si cambia. Si studi quello che la Cina non sa ancora. Meno materialismo dialettico e più Bill Gates, questo è il mondo.

Come tante volte nella storia cinese, anche questa (piccola, ma non troppo) rivoluzione parte da Shanghai. Dove nel 1921 nacque il Partito comunista, adesso vede la luce il prototipo di una nuova generazione di manuali scolastici che potrebbe modellare l'educazione dei cittadini di domani. Adottati per prova in diversi istituti della città- regione già lo scorso anno, i libri in questione alleggeriscono parti tradizionalmente cruciali. Senza rimpianti. Nel manuale per le scuole superiori, su 52 capitoli soltanto uno è dedicato al socialismo e al suo «futuro radioso» e si raggiunge un vertice che solo pochi anni fa sarebbe costato carissimo. Via Mao, confinato a un inciso dentro un capitolo che parla di etichetta diplomatica, di quando issano le bandiere a mezz' asta: in caso di tragedie, di lutti, di funerali di Stato, «come quando morì il presidente Mao», settembre 1976, appunto.

«A dir la verità, nel corso degli anni ci si accorgeva che lo spazio dedicato a certe questioni nei libri si riduceva» dice al

Corriere Lisa, una neolaureata che ha vissuto il diluirsi dell'ortodossia marxista- leninista nelle aule. Ma il caso di Shanghai è diverso e più sostanziale e il

New York Times vi intravede i segni del rivolgimento epocale. Godendo di una certa autonomia normativa, Shanghai — la metropoli motore finanziario e tecnologico — avrà dunque libri per ora diversi dal resto del Paese. Vi si parla di

Wall Street e dello Shinkansen, il treno superveloce giapponese (che la leadership di Pechino invidia e vedrebbe volentieri a collegare la capitale e Shanghai). Ci si sofferma sull'importanza della cravatta e su come la Microsoft di Bill Gates abbia forgiato un modo nuovo di stare al mondo. Il 1789, la Rivoluzione Francese come antesignana di quella proletaria, i Soviet di Lenin contano meno. E l'epica della Lunga Marcia viene lasciata agli allievi delle medie.

Sistemato Mao con poche righe, l'accento è posto su Deng Xiaoping, lo stratega delle riforme lanciate alla fine degli anni Settanta. Apertura ai mercati, rifondazione dell'economia. È questo il Deng che si imparerà a scuola, il Deng che piace ai suoi successori, Jiang Zemin, prima, e Hu Jintao, oggi. Certo: i giapponesi continuano a essere gli invasori e i massacratori di Nanchino. E restano i tabù di sempre, dalle carestie del Grande Balzo in avanti alle efferatezze della Rivoluzione culturale fino al bagno di sangue della Tienanmen.

I didatti e i professori, che temono una «storia castrata» e guasti inevitabili nella formazione dei giovani, non hanno molte speranze di essere ascoltati. Anche nelle omissioni che riguardano gli eventi più antichi e nell'ammorbidimento delle svolte traumatiche della storia cinese, i manuali di Shanghai sembrano riflettere l'ansia di normalizzazione e rasserenamento della società che accomuna i leader. Il presidente Hu, che in questi giorni al politburo ha ricordato l'importanza di una efficace educazione, teorizza la «società armoniosa», quasi una riedizione di quell' ordine celeste che improntava l'impero secondo l'etica di Confucio. Proprio il mese scorso sono state lanciate, con entusiastica devozione (giornali, striscioni davanti alle librerie...), le «opere scelte» in tre tomi di Jiang, teorico di un Partito che smussa gli angoli e ingloba ogni attore dello sviluppo economico. Un Partito sempre più Partito e sempre meno comunista. Né è un caso che, con un fresco articolo su Study Times, il numero due della scuola centrale del Partito raccomandi di gestire «i conflitti interni al popolo» non come se si trattasse di «lotta di classe»: la lotta di classe è un'altra èra, please.

Di Mao resta poco. Il profilo sulle banconote rifatte, il faccione sulla Tienanmen. La formula canonica del 70 e 30 («aveva ragione al 70%, torto al 30%»). Santini. Poco altro. E quel serpentone — di contadini, impiegati, operai, monaci, bimbi intimiditi — che, ancora ieri, dal calore colloso dell'estate entrava nel mausoleo del Presidente tra folate d'aria condizionata, sfilava accanto alla mummia illuminata nella teca, la bandiera con la falce e martello stesa come un plaid e taceva nell'unico luogo ormai silenzioso di tutta Pechino.