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Corriere: Formazione: la concorrenza tra le scuole

Botta e risposta fra Valentina Aprea e Francesco Giavazzi

21/02/2008
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Corriere della sera

Interventi e Repliche

Francesco Giavazzi, con il suo editoriale sul Corriere del 14 febbraio, ha acceso i riflettori sul rapporto tra sviluppo economico e qualità della formazione. È vero, il nostro sistema formativo è costoso e produce risultati sconsolanti: si studia la lingua italiana fino alla laurea e non si comprende un articolo di giornale; si studia matematica finanziaria per almeno 8 anni e non si sa leggere un bilancio; si studia l'inglese per tredici anni e non lo si sa parlare.
La nostra scuola propone ancora un modello idoneo a una società che non esiste più. Come cambiare?
Giavazzi sostiene che un'ennesima riforma studiata dal ministero non servirebbe a nulla. Nei cinque anni di governo Berlusconi abbiamo posto però le premesse per raggiungere quel che auspica Giavazzi: riconoscere la libertà di scelta educativa delle famiglie ed erogare i finanziamenti alle scuole tenendo conto di queste scelte. Un criterio per creare concorrenza tra le scuole. Anche la Francia, che fino a oggi ha preferito una scuola centralista e burocratica, si sta orientando nelle direzione della concorrenza: nell'ormai noto Rapporto Attali, frutto del lavoro della commissione voluta dal presidente Sarkozy, si chiede di «assegnare ai genitori una somma in denaro per allievo». Accanto a questo proponiamo maggiore autonomia delle scuole, fino alla scelta degli insegnanti da Albi professionali regionali, e diffusione delle informazioni necessarie alle famiglie perché possano valutare il servizio offerto. Infine, ed è forse la prima delle priorità, una politica delle risorse umane degna di questo nome.
La qualità della scuola è frutto della preparazione e della capacità dei docenti. Senza meritocrazia qualunque cambiamento sarà illusorio.
On. Valentina Aprea
Responsabile Dipartimento Nazionale Scuola Forza Italia

Una maggiore concorrenza tra scuole migliora la qualità della formazione. Ma lo strumento non sono i buoni scuola introdotti dal governo Berlusconi con la legge Finanziaria 2003. Quei buoni non hanno indotto spostamenti significativi di studenti da un tipo di scuola all'altro. Non hanno risolto i problemi finanziari delle famiglie povere, né sono stati un incentivo per gli alunni a migliorare la loro performance. Quella legge non prevedeva alcuna valutazione della qualità delle proposte. I buoni sono stati un trasferimento finanziario alle scuole private, mascherato da finanziamento alle famiglie, per aggirare il divieto costituzionale. (Si legga l'analisi di Daniele Checchi e Giorgio Brunello pubblicata su lavoce.info il 29.3.2005)

Francesco Giavazzi


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