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Corriere: Gli alunni italiani studiano il doppio «Trionfa la noia»

Professori e presidi

12/03/2008
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Corriere della sera

MILANO — In Gran Bretagna li chiamano
homework, da noi «compiti a casa». Ma la differenza è puramente linguistica. Perché non più tardi di un anno e mezzo fa, contro il sovraccarico domestico degli studenti era sceso in campo addirittura il ministro Fioroni: «Credo che i compiti dovrebbero essere svolti prevalentemente in classe, in modo che a casa i ragazzi possano interessarsi agli elementi che inducono curiosità».
Il problema è sempre quello: bambini impegnati, bambini stressati. «Sono almeno cent'anni che se ne parla...», sospira il pedagogista Giuseppe Bertagna. «A inizio '900, Maria Boschetti Alberti teorizzava che il segreto dei compiti a casa è che non siano compiti. Se assegnati come esercizio bruto, saranno considerati un'espiazione. Se invece si tratta di un contributo a un progetto comunitario, allora i bambini lo vedono come un modo per realizzare una parte di sé». Un secolo dopo, la teoria resta valida. In mezzo ci sono state le circolari degli anni '60 («che proibivano di assegnare compiti tra sabato e lunedì, sconsigliandoli alle primarie...») e un dibattito «sempre divaricato — riassume Angela Nava, presidente del Coordinamento Genitori Democratici — tra due teorie: niente compiti perché "sono già carichi di impegni", o troppi compiti "perché sono asini"». Più la seconda della prima, a sentire le ultime statistiche Pisa-Ocse: gli alunni italiani studiano a casa 10,5 ore alla settimana, quasi il doppio della media Ocse (5,9). «Perché da noi — commenta Bertagna — al centro della preoccupazione non c'è mai stata la crescita educativa, bensì il programma». «In Italia — incalza Angela Nava — vige ancora la teoria che se ti eserciti, memorizzi. E così otteniamo schiere di bambini annoiati. La soluzione? No ai compiti a casa "stupidi", che servono solo a mettere in pace la coscienza del docente. Anche perché il tempo dei nostri figli è già fin troppo "militarizzato", tra corsi di lingua, nuoto...».
«Il problema di fondo — riassume Giorgio Rembado, presidente dell'Associazione nazionale dei dirigenti scolastici — è se sia ancora utile una riflessione individuale sui contenuti di ciò che si studia; e io credo che lo sia. Poi, certo, bisogna raggiungere un equilibrio. Ma è utopico pensare che la scuola possa offrire le strutture necessarie per l'elaborazione personale; non certo oggi, quando in 16 anni abbiamo ridotto dal 10,3 all'8,8% la spesa per l'istruzione rispetto alla spesa pubblica... Domani, chissà».
Gabriela Jacomella