Corriere: I medici che non vogliono denunciare i clandestini
Da Torino a Bari: distintivi sui camici e cartelli multilingue
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MILANO — Medici-obiettori che per rendersi riconoscibili in corsia lo scrivono sul camice: «Io non ti denuncio ». Associazioni di categoria che inviano petizioni al governo per rafforzare il proprio «no»: «Quel provvedimento va contro il nostro codice deontologico ». Regioni che rivendicano la propria autonomia in fatto di sanità, ribadiscono le norme in vigore, ne varano di nuove: «Le cure devono essere garantite a tutti nel pieno rispetto della Costituzione e della privacy». La battaglia contro il provvedimento che prevede la denuncia da parte dei medici dei clandestini è trasversale. Politica e di categoria. Un rincorrersi di iniziative per fermare il disegno di legge. Per interrompere le denunce: tre quelle registrate prima che la norma sia entrata in vigore. Ma anche per contenere il crollo di richieste di cure da parte degli stranieri: dei cittadini sprovvisti di permesso di soggiorno ma anche degli immigrati in regola.
Da Milano a Roma. Da Torino a Genova. Pur senza nomi e cognomi le statistiche parlano chiaro. «Il numero di immigrati che nei primi tre mesi dell’anno hanno chiesto cure è calato del 10-20% rispetto al 2008», denuncia Massimo Cozza, responsabile dei medici della Cgil. Il crollo a febbraio: «Nel pieno del dibattito e dell’approvazione del ddl al Senato». Ora, spiega il presidente nazionale della Società italiana medicina d’emergenza-urgenza Anna Maria Ferrari, «gli accessi registrati nelle principali strutture di emergenza sono tornati quasi nella norma». «Ma non appena si ricomincerà a parlare di medici-spia ci sarà un nuovo calo», avvertono gli addetti ai lavori. Del resto le denunce sono state più veloci dell’entrata in vigore della legge: i primi di marzo, all’ospedale Fatebenefratelli di Napoli, Kante, 25 anni, ivoriana in attesa del riconoscimento di asilo politico, è stata segnalata dopo aver dato alla luce un bimbo; un mese dopo, agli Spedali Riuniti di Brescia, Maccan Ba, 32 anni, senegalese, è stato raggiunto da un ordine di espulsione dopo aver richiesto cure per un mal di denti; negli stessi giorni, al Santa Maria dei Battuti di Conegliano (Treviso), una nigeriana di 20 anni è stata registrata al pronto soccorso come «paziente ignota » e dimessa con un foglio di via.
Spiega Massimo Cozza: «La paura è la fuga degli immigrati dagli ospedali ». Con un doppio rischio: «Per la salute dei cittadini stranieri, il cui diritto alle cure è sancito dalla Costituzione, e per la salute pubblica». Parole che ricalcano storie di Carlos e Joy: lui, 20 anni, sudamericano trapiantato nel Pavese, per paura di essere denunciato ha rischiato di morire di peritonite; lei, 24 anni, nigeriana, prostituta, è morta di tubercolosi avanzata. «Il 50% degli ospiti del Cara di Bari, il centro di accoglienza dove era stata, è risultato positivo alla malattia».
Al San Paolo di Milano, punto di riferimento per i suoi ambulatori dedicati agli immigrati, i medici lavorano con la spilla «Io non ti denuncio». Qui il calo dei cosiddetti «stranieri temporaneamente presenti» è stato del 40%, la media dei tre mesi registra un meno 22. Richieste di intervento in discesa anche al Niguarda e al Fatebenefratelli (-10). A capo dell’assessorato regionale alla Sanità c’è il leghista Luciano Bresciani, ma già lo scorso febbraio la direzione generale ha inviato una circolare per ribadire che i clandestini hanno diritto a cure gratuite. Cure che, stando ai primi risultati dell’indagine pilota avviata dall’Asl (guidata dalla leghista Cristina Cantù), ammonterebbero a 15 milioni l’anno. Anche il governatore Piero Marrazzo ha inviato una circolare ai medici del Lazio, ma per ribadire che non devono ottemperare alla denuncia. Una norma sulla quale ha espresso preoccupazione anche il consiglio di facoltà di Medicina del Gemelli. Da inizio anno a metà aprile gli accessi degli stranieri nei 39 principali ospedali del Lazio, dicono i dati dell’Agenzia sanità pubblica, sono stati 4.789 rispetto ai 6.433 del 2008. Al San Camillo sono passati da 748 a 573, al Tor Vergata da 239 a 63. Al Casilino da 1.640 a 1.589. Ma qui — dove il responsabile del dipartimento di emergenza Adolfo Pagnanelli ha fatto firmare ai «suoi» medici una dichiarazione in cui si impegnano a non denunciare e per comunicarlo ai pazienti ha fatto affiggere cartelli in sette lingue — è la «fuga » di romeni che colpisce: meno 18%. Cartelli in più lingue sono stati affissi su richiesta dei governi regionali anche in Emilia Romagna, Puglia, Sicilia. In Liguria il debutto è atteso a ore. In Piemonte i manifesti sono in fase di ideazione. Tutte Regioni che hanno inviato anche circolari ad hoc per ribadire che l’unica norma in vigore è quella contenuta nel testo unico sull’immigrazione che prevede il divieto di denunciare i pazienti. «Faremo ricorso alla Consulta perché quella norma è incostituzionale », annuncia l’assessore alla Sanità della Toscana Enrico Rossi. Al Careggi di Firenze gli irregolari sono passati da 145 a 122, preoccupa la diserzione del consultorio femminile. Per la Puglia il governatore Niki Vendola ha annunciato una «norma speciale » contro quella nazionale. Tutti obiettori i medici del Simeu. Il cartello al San Paolo di Bari: «Qui non denunciamo nessuno». E non sono solo i governatori di centrosinistra a portare avanti la battaglia. Il presidente della Sicilia Raffaele Lombardo ha voluto che all’interno della legge di riordino del sistema sanitario fosse introdotto un emendamento: «A tutti le cure ambulatoriali e urgenti senza che ciò implichi alcun tipo di segnalazione all’autorità ». Sicilia in controtendenza, come la Calabria, anche in fatto di numeri: nei centri per immigrati dove i medici indossano la maglietta «non vi denunciamo » gli accessi sono quasi raddoppiati.