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Corriere: Intuizione del singolo e sconfinamenti. La nuova ricerca è multidisciplinare.

«Gli scienziati italiani riescono a rompere le regole in modo gentile» Lo scenario Cadono gli steccati, cambia la geografia della conoscenza. Ma il nostro Paese non tutela le eccellenze

08/07/2009
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Corriere della sera

di EDOARDO SEGANTINI
V ijay K. Dhir è uno dei capi della University of California Los Angeles, l’Ucla. Persona estremamente cortese, ingegnere aerospaziale di origine indiana, preside della Henry Samueli School of Engineering and Applied Sciences, dice degli scienziati italiani: «Tre caratteristiche li rendono unici: la prima è che sono flessibili, capiscono al volo le situazioni e sanno adattarvisi. La seconda è che, ovunque vadano, sanno creare reti relazionali con i colleghi di tutto il mondo. La terza, e per me la più importante, è che riescono quasi sempre a rompere le regole in modo gentile ».
Dhir sa quel che dice perché gli italiani eccellenti, all’Ucla, non sono pochi. Da Mario Gerla a Giovanni Pau, il guru e l’astro nascente delle telecomunicazioni, autori del progetto delle «macchine che si parlano»; da Carlo Zaniolo, il grande esperto di database, al mago dei sensori Stefano Soatto. Ma Dhir aggiunge anche: «Tutte caratteristiche, quelle degli italiani, che dipendono dal fatto che il vostro Paese ha una storia nobile, antica ma anche terribilmente complicata».
Ed è in questa storia complicata, che porta da Galilei all’odierna, defatigante burocrazia, che va cercata la chiave per capire che cosa significa fare scienza oggi in Italia. L’evoluzione dei saperi da una parte e la globalizzazione dall’altra hanno abbattuto molti steccati, avvicinando scienze prima lontane come la biologia e la fisica, favorendo la circolazione dei cervelli e scatenando una gara ad attrarre i migliori. Sono stati motori positivi di sviluppo.
«Un esempio importante è l’oncologia, ormai tutta basata sull’interdisciplinarietà e sul trasferimento della ricerca di base all’applicazione clinica — dice Marco Pasquali, rettore dell’Università di Pisa —. L’oncologia ormai è una multidisciplina che raccoglie una pluralità di competenze: dall’identificazione delle sequenze molecolari allo sviluppo di farmaci biotecnologici al riconoscimento delle alterazioni geniche. Molti professionisti dunque fanno parte di questa catena: dal biologo molecolare all’informatico, dal matematico al medico che, alla fine del percorso, somministra il farmaco al malato nella giusta dose».
Nella nuova geografia dei saperi lo sconfinamento di campo è la regola: il biologo si avvicina all’ingegneria, l’ingegnere alla biologia. L’intuizione del singolo ricercatore, pur nel confronto serrato del lavoro di gruppo, diventa ancor più fondamentale. «Tra competizione e collaborazione — dice Maria Chiara Carrozza, direttrice della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa — c’è una dialettica continua. L’intraprendenza del singolo trova nel team un elemento di valorizzazione, non di freno. Il lavoro nei gruppi internazionali è la parte più bella del nostro lavoro, perché ci mette a confronto con persone e culture diverse e formidabili».
Tuttavia la figura dello scienziato che lavora in solitudine o in gruppo seguendo le tracce del suo intuito geniale senza badare a spese è quanto di più lontano dalla realtà. È, come dire, antiscientifica. Il sistema della ricerca — di base o applicata che sia — non sfugge infatti alle regole dell’economia. La quale, pur essendo una non scienza (come non mancano di sottolineare gli scienziati), impone delle regole stringenti. Una di queste è il budget che, in tempi di recessione, tende a restringersi. Nel caso della ricerca di base — quella che produce scienza pura, e che dipende dai finanziamenti pubblici — l’Italia ha due limiti.
«Il primo — dice Pasquali — è un tasso di investimenti scientifici in relazione al prodotto lordo tra i più bassi del mondo occidentale. Il secondo è che, diversamente da altri Paesi, che scelgono con decisione i settori e i centri di eccellenza su cui puntare, e a quello scopo creano agenzie indipendenti, in Italia l’insieme del mondo accademico si è sempre opposto a un criterio di selezione che punti le risorse sui migliori. Il risultato è che i soldi sono dati a pioggia, a chi fa bene e a chi combina poco».
Pisa, con la sua tradizione scientifica secolare, è uno dei centri che da un criterio di distribuzione più meritocratico avrebbe solo da guadagnare. Con il Nest, il laboratorio della Normale di Pisa e del Cnr, la città per esempio è un centro d’eccellenza nelle nanotecnologie. La manipolazione della materia sulla scala del milionesimo di millimetro consente di creare nuovi materiali e trovare applicazioni nel campo dei laser, dei farmaci e dei composti super resistenti. In Francia, dove alle nanotecnologie il governo Sarkozy ha deciso di dare la priorità, si sono concentrati i finanziamenti su tre soli centri: Parigi, Tolosa e Grenoble.
In Italia una cosa del genere è quasi impensabile. Il Paese, come si è detto, è più complicato e il cammino verso le scelte d’innovazione è ostacolato dai centri non eccellenti, che tuttavia difendono la propria sopravvivenza. Un Paese che genera scienziati non solo tecnicamente preparati ma spesso più bravi degli altri a «rompere le regole in modo gentile», la virtù che tanto piace al professor Dhir. Peccato che poi vadano in America.
Competizione e collaborazione La direttrice della scuola superiore Sant’Anna: «Ormai l’intraprendenza individuale trova nel team una valorizzazione, non un freno»