Corriere: Io, ricercatore (contento) tornato in Italia
L’aspetto negativo è che investiamo poco rispetto ad altri. Il nostro Paese deve cercare di realizzare le infrastrutture per attirare cervelli, di qualsiasi nazionalità essi siano.
di VINCENZO BRONTE
Caro Direttore, ho avuto il privilegio di stringere la mano del presidente della Repubblica Napolitano in occasione di due premi che mi sono stati conferiti dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dalla Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. Questi riconoscimenti sono stati molto importanti, per me e per il mio gruppo, perché hanno premiato ricerche condotte quasi integralmente in Italia, dopo il mio rientro dagli Stati Uniti. Hanno anche confermato che la scelta di rientrare in Italia per continuare le mie ricerche, pur tra diverse difficoltà, è stata una scelta giusta. Almeno, ne è valsa la pena. Nei momenti di maggiore difficoltà in questo lavoro non semplicissimo, mi consola il pensiero che abbiamo contribuito a formare giovani che hanno condiviso la passione per la ricerca, abbiamo mantenuto uno standard più che accettabile di qualità e lasceremo un’eredità a chi vorrà continuare per migliorare ancora, auspicalmente in Italia. L’Italia ha un rapporto piuttosto singolare con la ricerca: a fronte di un finanziamento pubblico fra i più bassi in Europa vi sono risultati di eccellenza scientifica innegabili, comprovati dalle pubblicazioni internazionali. A fronte di salari bassissimi per i ricercatori, ci sono istituzioni private come Airc che raccolgono incessantemente donazioni. Airc distribuisce questi fondi sotto forma di borse di studio e finanziamenti, attraverso il sistema del peer review, che implica il coinvolgimento di 300 revisori stranieri. Quando scrivo un progetto per avere finanziamenti da Airc, so che devo impegnarmi al massimo, che il mio progetto sarà giudicato da miei pari, che non faranno sconti e non terranno conto dei premi ricevuti ma solo della qualità ed innovazione della ricerca proposta. E questo vale ormai per quasi tutte le agenzie di finanziamento, in Italia ed in Europa, sia pubbliche che private, ad essere onesti.
Non condivido, pertanto, le visioni estremamente pessimistiche di un sistema ricerca allo sbando. Ci sono delle evidenti carenze che dobbiamo definire con chiarezza per poterle colmare. In Italia abbiamo raggiunto importantissimi traguardi e recenti statistiche indicano che l’Italia è ai primissimi posti se si considera la produttività scientifica in relazione agli investimenti effettuati. La conclusione è che abbiamo risorse umane di spicco e la ricerca nasce soprattutto da queste risorse, non dimentichiamolo. L’aspetto negativo è che investiamo poco rispetto ad altri. Il nostro Paese deve cercare di realizzare le infrastrutture per attirare cervelli, di qualsiasi nazionalità essi siano. Come disse un mio amico, uno scienziato italiano che lavora all’estero da diversi anni, il problema reale non è il «rientro dei cervelli» ma «l’attrazione dei cervelli». (..) Dobbiamo investire di più nella ricerca e colmare il divario con gli altri Paesi europei, anche e soprattutto nei momenti di crisi. Sarebbe un segno che il Paese crede realmente nel suo futuro.
Basterebbero piccoli segnali, come potrebbe essere la riduzione dell’Iva sugli acquisti effettuati con fondi assegnati a progetti di ricerca. Questo renderebbe utilizzabili, immediatamente, cospicue risorse per chi gode dei finanziamenti, servirebbe a premiare i più meritevoli (chi ha più finanziamenti avrà anche maggiori risorse) ed andrebbe nel solco dell’attuale tendenza già recepita da diversi Paesi dell’Ue.