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Corriere: La maturità e la meritocrazia che non c’è

La scuola italiana è incapace di misurare se stessa

05/08/2009
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Corriere della sera

Quest’anno i 100 e lode della maturità italiana riceveranno un premio di cir­ca mille euro in base ad una legge va­rata dal ministro Fioroni nel 2007. Sembra un primo esempio di meritocrazia ma non lo è, perché non tutti forse si meritano il premio. Infatti le regioni del Sud esibisco­no una poco credibile performance di un numero di 100 e lode in relazione agli esa­minati doppio di quelle del Nord. Alcune scuole del Sud addirittura maturano più di venti 100 e lode, mentre i migliori licei mila­nesi e romani ne hanno uno solo. Il messaggio che viene da questi dati non è che al Sud non ci sono ottimi studenti, perché non sarebbe vero, ma che la maturi­tà serve a poco per valutare il rendimento degli studenti e paragonarlo tra diverse scuole. Peraltro non è una nuova scoperta. I «Pisa test» dell’Ocse sulla comprensione del testo e la matematica da parte dei quin­dicenni dimostrano che l’Italia mediamen­te va male, ma che il Nord è più o meno in linea con la media europea (largamente di­stante dalla eccellenza della Finlandia) e il Sud è a livello dell’Uruguay.

Eppure i voti degli insegnanti del Sud sono a livello di quelli del Nord. Le prove dell’Invalsi sulla terza media, an­ch’esse basate su test obbiettivi, evidenzia­no che al Sud ci sono circa 10 punti in meno rispetto al Nord. La realtà è sotto gli occhi di tutti: qualunque approccio alla valutazio­ne del rendimento degli alunni basato uni­camente su esami interni non rivela la real­tà reale sul merito di studenti e insegnanti. Solo valutazioni esterne basate su test na­zionali standard (non quiz, ma domande a risposta multipla sulla capacità di compren­dere testi scritti e risolvere problemi di logi­ca e matematica) forniscono una misura og­gettiva. Il nostro sistema educativo è spa­ventosamente indietro nello sviluppare ed amministrare questo tipo di test: nel mon­do anglosassone esistono da quasi 80 anni e le società emergenti li stanno adottando quasi tutte. Da noi, l’Invalsi, che dovrebbe svilupparli e amministrarli, sta tentando fa­ticosamente di uscire dal commissariamen­to e comunque la legge che ne definisce la missione è tutto fuorché chiara.

La cronica incapacità del nostro sistema educativo di misurare in modo oggettivo la capacità di apprendimento degli studenti (peraltro criticata recentemente anche dal rapporto Ocse sull’Italia) è alla base dello spaventoso declino del nostro sistema edu­cativo e della sua incapacità di aumentare le pari opportunità: ricerche su migliaia di giovani dimostrano che esiste una correla­zione diretta tra il risultato di questi test a 15 anni e il reddito a 46 anni e quindi le pari opportunità in Italia si fermano a Roma e nessuno lo sa. Non solo, ma la maturità non funziona neanche più come selezione per l’accesso alle università migliori che debbono dotarsi di test di ingresso che in qualche caso vengono anche essi considera­ti non interamente obbiettivi. Nel corso degli ultimi mesi ho proposto al ministero dell’Istruzione: 1. lanciare test nazionali standard alla fi­ne delle superiori e durante le scuole ele­mentari e medie e ho discusso un program­ma che, partendo da queste misure obbietti­ve dell’apprendimento degli studenti, pos­sa valutare la performance delle scuole co­me base per lanciare un programma nazio­nale di miglioramento dell’insegnamento.

Tale programma si focalizzerebbe in parti­colare sul Sud e potrebbe avvalersi di più di un miliardo di fondi Ue disponibili e oggi male utilizzati e sarebbe il primo passo per rilanciare un ispettorato serio come nel Re­gno Unito (1.500 ispettori) e in Francia (3.000). Da noi gli ispettori sono 150, si chia­mano «dirigenti tecnici» e non possono in­tervenire per la valutazione ma solo per gra­vi incidenti di tipo disciplinare 2. lanciare un vero «fondo per il merito», con partecipazione di capitali privati, per se­lezionare gli studenti più bravi e dotarli di voucher per l’accesso alle migliori universi­tà. I meno abbienti potrebbero contare su borse di studio per mantenersi lontano da casa e questo approccio darebbe un contri­buto all’aumento di meritocrazia negli ate­nei italiani. La trasformazione che questi programmi porterebbero al nostro sistema educativo è epocale, ma urgente e necessaria. Serve un grande coraggio perché le barriere sono for­ti (in particolare i sindacati della scuola). Solo un massiccio supporto da parte del­l’opinione pubblica può garantire che un ministro, anche coraggioso, voglia imbar­carsi in un tale programma. Purtroppo per gli italiani la scuola non è una priorità: pri­ma vengono sicurezza, lavoro, sanità.

Il pro­blema della scuola non esiste. Un questio­nario internazionale ci descrive come i più pessimisti su tutto tranne che sulla doman­da «ritenete che la cultura del vostro Paese sia superiore a quella di altri Paesi?». Il 70 per cento risponde di sì. Simultaneamente i test Ocse sui 16-60enni sulla capacità di comprendere i testi e ragionare con i nume­ri ci vede ai livelli più bassi. Ci riteniamo più colti degli altri ma molti di noi non capi­scono il giornale che leggono. Non stupisce che la scuola non sia la priorità. Se la coscienza degli italiani non si risve­glia, premiare i 100 e lode della maturità non sarà un passo avanti nel cammino ver­so la meritocrazia nel nostro paese.

Roger Abravanel