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Corriere: La sfida delle classi dirigenti «Più merito e concorrenza»

Le priorità per il Paese Il rapporto illustrato da Montezemolo

18/04/2009
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Corriere della sera

ROMA — Si potrebbe definire il «metodo Sergio Marchionne»: l’am­ministratore delegato della Fiat che, ha detto il presidente del Lin­gotto Luca Cordero di Montezemo­lo, «non è stato certamente scelto perché era figlio di qualcuno o del­la zia di qualcuno». Che debba fun­zionare così è perfino ovvio. E il messaggio contenuto nel terzo rap­porto «Generare classe dirigente» realizzato dall’Università della Con­findustria Luiss e da Fondirigenti è chiarissimo. La crisi economica può diventare l’occasione per passa­re «a una concezione del merito co­me virtù pubblica». Una virtù anco­ra troppo spesso estranea a molte parti della società. Soprattutto, estranea alla politica, della cui «in­vadenza » Montezemolo vede «il continuo proliferare», e non soltan­to perché «senza l’appoggio della politica non si diventa primari», ma perché si moltiplicano «le azien­de pubbliche che fanno concorren­za ai privati con il denaro pubblico e che servono solo come discarica per i politici trombati».
«Regole, merito, concorrenza, so­lidarietà: sono i temi su cui lavora­re — spiega Montezemolo — per cogliere la sfida del cambiamento e metterci nelle condizioni per vince­re ». Il merito, dunque. Sempre quel­lo è il problema italiano. Questa vol­ta, però, nel rapporto dell’ateneo di­retto da Pier Luigi Celli, si scorge anche qualche segnale di ottimismo. I 2.100 intervistati, rappresentativi dell’intera popolazione italiana e di varie categorie sociali, lasciano intendere che «l’applicazione estesa del merito può aiutare a uscire dalla fase di crisi attuale». Ma la maggioranza esprime anche una valutazione positiva delle «esperienze formative» avute «rispetto all’immagine mediamente negativa che fa parte della cultura del Paese quando si parla di istituzioni scolastiche e universitarie». Insomma, dalle 516 pagine del documento emerge anche la fotografia di una classe dirigente che vuole mettere da parte il pessimismo. E di un Pae­se che pur senza farsi illusioni sulla rapidità «dell’entrare in una vera e propria stagione del merito», mo­stra una cultura collettiva più matu­ra in tema di meritocrazia.
Un esempio? Il 72,7% degli inter­vistati afferma che nel suo ambito professionale il principio del meri­to è comunque applicato. Anche se l’applicazione varia enormemente da categoria a categoria. Soltanto il 20,9% sostiene che si fa carriera po­litica per merito. Una percentuale che sale appena al 22,9% per il sin­dacalista e al 26,2% per il dirigente pubblico. Per quanto riguarda l’esperienza nelle aziende, il 55,6% si dice sicuro che il merito sia appli­cato in maniera «molto o abbastan­za » estesa. Mentre il 48,9% dei diri­genti d’azienda afferma di aver «uti­lizzato » nell’esperienza professiona­le «decisamente più il criterio del merito» e appena l’1% dichiara di essersi fatto aiutare per la carriera dalle «conoscenze e dalle apparte­nenze ». Il che non vuol dire che il sistema di relazioni non conti qual­cosa.
Secondo il rapporto uno dei fat­tori di maggiore freno della concor