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Corriere: «La situazione è più matura, la strada è obbligata. Certo, ...

Sono passati oltre sei anni da quel 17 febbraio in cui 320mila docenti - un insegnante su 3 - raccolsero l’invito allo sciopero di Gilda e Cobas contro il «concorsone» voluto dal ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer

03/06/2006
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Corriere della sera

«La situazione è più matura, la strada è obbligata. Certo, il conservatorismo ideologico c’è ancora: ma nessun tabù resiste per l’eternità. Nemmeno quello del merito». Sono passati oltre sei anni da quel 17 febbraio in cui 320mila docenti - un insegnante su 3 - raccolsero l’invito allo sciopero di Gilda e Cobas contro il «concorsone» voluto dal ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer. Fu proprio sugli aumenti di merito che crollò il suo dicastero, ed è di questo che oggi il professor Berlinguer, dal 2002 consigliere del Csm, è chiamato a parlare. Una chiamata in causa estranea al mondo scolastico: è stato il governatore di Bankitalia Mario Draghi a invocare «nuove regole che premino il merito di docenti e ricercatori». Mancavano solo nome e cognome...

«...che poi sono stati fatti da Gaspare Barbiellini Amidei, nel suo intervento sul Corriere . E dico subito che nella scuola c’è sicuramente un problema di verifica meritocratica. Da ministro avevo tentato di affrontarlo con varie misure, anche se ad apparire fu solo il "concorsone", l’uso dei test come strumento di verifica. Riconosco, come ho fatto più volte, che il merito era giusto, il metodo sbagliato».

Prof e sindacati la attaccarono.

«In realtà Cgil, Cisl, Uil e Snals avevano sostenuto sia la proposta che lo strumento. Eravamo in contatto con tutte le forze in campo. Tutte, tranne due: Gilda e Cobas, che erano numericamente ininfluenti».

E invece guidarono la protesta.

«Da parte nostra ci fu una forte ingenuità. Da un lato c’era il fatto che solo una piccola parte avrebbe, in principio, goduto di vantaggi economici. Poi c’era la scelta di forme valutative diffuse nel mondo, ma non ancora mature in Italia. All’idea di un test che ne valutasse la preparazione, i professori si sentirono offesi. Ripeto, un errore di metodo».

Sbaglia, dunque, chi vede i docenti refrattari a ogni valutazione?

«È vero che all’inizio gli interessati non amano che li si valuti; però possono abituarsi, se si trovano strade giuste. Lo vedo nel Csm, dove sto sperimentando una valutazione dell’azione giudiziaria; l’ho visto a Siena, con il monitoraggio delle attività di ricerca. Sono d’accordo con Draghi sul fatto che servano "nuove regole". E c’è un’esperienza internazionale nell’elaborazione di parametri valutativi di cui fare tesoro».

Il Governatore ha anche parlato del ritardo accumulato dall’Italia nella diffusione dell’istruzione.

«Ma ha pure riconosciuto che negli ultimi 10 anni il divario rispetto ai Paesi più avanzati si è ridotto. Draghi poi osserva che il problema, oggi, è il livello medio del capitale di conoscenza: ma anche qui abbiamo fatto dei passi avanti, soprattutto per la "coda" del "serpente educativo". Resta una criticità nel livello medio e nelle eccellenze».

Come si recupera?

«Con il sostegno all’espansione scolastica, cui sono contrari alcuni tardogentiliani, di destra e sinistra. La scommessa sta nell’evitare l’alternativa tra merito e massa, e la strada è quella dell’autonomia, la più importante delle mie riforme: curricoli differenziati, diverse velocità. Poi, un’espansione delle tecnologie, cui i soliti fondamentalisti tardogentiliani sono ostili. Infine, la verifica costante della qualità attraverso vari strumenti di valutazione: una strada obbligata».

A proposito di fondamentalismi, Barbiellini Amidei dice di temere, ora, l’«eccesso demolitorio».

«Sono d’accordo: si cambi solo quel che la ragione suggerisce di cambiare. La destra ha avuto un unico obiettivo: abrogarmi

, la damnatio memoriae . Gli abrogazionisti totalizzanti di oggi seguono la stessa linea. Ma due cose vanno assolutamente cancellate: la norma che manda alla formazione professionale i ragazzi dopo i 13 anni e la divisione tra licei di serie A e tecnici di serie B. Misure di stampo preweberiano, antistorico».

Cosa suggerisce, dunque, al nuovo ministro?

«Giuseppe Fioroni è una persona seria, un vero politico. I primi passi sono stati giusti. Sento del fondamentalismo laicistico in giro, della diffidenza verso di lui; e questo mi duole. Certo occorre un’affermazione più ampia della laicità, con il concorso dei laici, ma anche dei cattolici. E ritengo che Fioroni voglia innovare nella scuola, che è opera audace: il peso dei conservatorismi, in quel mondo e nei maîtres-à-penser che pontificano sui giornali, è di stampo neogentiliano, capace di frenare il cambiamento».

Non teme una «frenata» anche sulla questione merito?

«La frenata c’è già stata nei cinque anni passati. Ora bisogna creare nuovi stimoli, garantire incentivi, riaprire il dialogo con i sindacati. Forse all’epoca era prematuro, ma sono contento di avere aperto una strada. Su cui ora bisogna proseguire, con fermezza e determinazione. E con saggezza».

Gabriela Jacomella