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Corriere: «La trattativa è una maionese impazzita»

L'ALTOLÀ DI EPIFANI

09/07/2007
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Corriere della sera

ROMA — «Una maionese impazzita ». Altro non è, per Guglielmo Epifani, la trattativa sullo scalone Maroni. Così, quando si chiede al segretario della Cgil che si aspetta, allarga le braccia: «Lavoriamo per fare un buon accordo. E poi valutare. Se il governo ha una prospettiva, ripartire con un disegno. Un nuovo patto intergenerazionale, affrontando anche il problema degli anziani. Ma questo non è nelle mani del sindacato».

Fare l'accordo: sembra facile...

«Una cosa da dire alle forze politiche è che in questo Paese si sta smarrendo il confine fra responsabilità dei partiti e del sindacato. Questa vicenda è una maionese in cui non si capisce più chi fa che cosa. Se non si riconosce uno spazio di autonomia al confronto fra governo e sindacato ma ognuno interferisce in questa vicenda, diventando soggetto negoziale, allora è finita».

Con chi ce l'ha?

«Sono tutti i partiti a esprimere su questo o quell'altro aspetto un punto di vista. C'è chi ( Francesco Rutelli, ndr)

propone l'innalzamento dell'età delle donne, c'è chi ( Massimo D'Alema, ndr) sostiene che senza risorse è meglio tenersi lo scalone, chi ( Lamberto Dini, ndr) ha già deciso che voterà no all'intesa quale che sia. Tutto legittimo, ma questo rischia di rendere impossibile l'esito di questo negoziato. Causa ed effetto delle divisioni e della debolezza del governo. Per questo va usato il buonsenso ».

Purtroppo non se ne vede molto in giro.

«Con Dini trattammo due mesi in modo assolutamente riservato. Qui escono sui giornali ipotesi che neanche conosciamo. Sono stati annunciati incontri che non sono mai avvenuti, proposte mai avanzate. Bisogna uscirne assolutamente. Fuori c'è un Paese reale che alle volte ti colpisce».

Come ti colpisce?

«Faccio un esempio. Il 90% dei lavoratori avrebbe scelto la destinazione del Tfr, non si sarebbe rifugiato nel silenzio assenso. C'è stato un voto responsabile, in un senso o nell'altro, ed è un fatto importante».

Non la imbarazza l'accusa di corporativismo?

«Trovo una parte di queste critiche mossa da qualche interesse».

Lei si è fatta un'idea?

«In questo caso abbiamo fatto tutto lo sforzo per non concentrare l'attenzione sul tema del superamento dello scalone, che nella nostra piattaforma è al decimo posto. Prima vengono tante altre cose. L'aumento delle pensioni basse. La questione dei giovani, dal recupero dei contributi al riscatto della laurea. Per noi è sempre stato più importante, per esempio, difendere i 60 anni dell'età di vecchiaia delle donne».

Ma che accadrà quando l'aspettativa di vita sarà più lunga?

«Con il contributivo a regime tutto questo finirà. Non ci sarà più distinzione tra uomo e donna. Come vede, il nostro sforzo era di fare un'operazione tutt'altro che corporativa. Poi è successo che da mesi si dibatte solo sullo scalone».

Allora è falso che il governo Prodi prende ordini dal sindacato.

«Il governo di centrodestra provò a fare un accordo per dividere il sindacato isolando la Cgil. Prova che comunque aveva il sindacato al centro della sua strategia. Con questo governo, invece c'è stata difficoltà di costruire anche la stessa Finanziaria ».

Non era la Finanziaria che anche lei avrebbe fatto?

«All'inizio diedi quel giudizio positivo, ma poi ci siamo trovati con un aggravio fiscale anche sui lavoratori dipendenti e i pensionati. Se questo è dare ordini al governo…. Ne dico un'altra: avevamo accettato di aumentare dello 0,3% il prelievo contributivo in cambio di un sostegno alle pensioni dei lavoratori che stavano peggio e anche qui non si è ancora fatto nulla. Se questo è il sindacato corporativo…».

Non negherà che il pubblico impiego è stato difeso a oltranza.

«Abbiamo dato una totale disponibilità sulla produttività e sulla riorganizzazione. Il memorandum è rimasto fermo non per responsabilità nostra ».

Anche qui la colpa è del governo?

«L'iniziativa deve partire per forza dal governo che in alcuni passaggi non ha tenuto fede agli impegni presi. Si è fatta diventare una cosa importante, lo scalone, l'unica cosa centrale. In un paese che ha un allungamento così importante della vita media non dovrebbe porsi soltanto un problema di costi, ma di come organizzare la società. L'invecchiamento attivo degli anziani è un grande tema sociale e riformatore. Nei loro confronti non si fa nulla».

Che cosa si dovrebbe fare?

«Se si vuole affrontare la permanenza al lavoro non ci può essere solo la strada dell'obbligo. Ci dev'essere quella di creare le condizioni per questa permanenza. Per anni abbiamo parlato di flessibilità in uscita, di

part-time, e non è stato fatto niente, niente… Abbiamo chiesto alle aziende di non mandare via i lavoratori negli ultimi cinque anni e non s'è fatto nulla…».

Come si creano queste condizioni?

«Con un progetto, mettendosi intorno a un tavolo, studiando le esperienze degli altri Paesi. Il tema della non autosufficienza è totalmente scomparso dall'agenda. Per i giovani, invece, ci vuole soprattutto formazione. Finora gli investimenti in questo campo non sono stati all'altezza. Infine, le imprese».

Che c'entrano loro?

«Non è che possono stare fuori e pontificare. C'è un problema di qualità della domanda di lavoro. Noi non abbiamo pochi ingegneri perché non si laureano, ma perché le aziende ne utilizzano pochi. Quando in Italia si parla del merito e lo si contrappone al bisogno, andrebbe ricordato che abbiamo precari che guadagnano 500 euro al mese, operai che ne guadagnano 1000 e ingegneri da 1.200 euro ».

Pensa che il sindacato non debba fare proprio nessuna autocritica? Le ricordo che Padoa-Schioppa è stato messo alla berlina perché non voleva più dare premi a pioggia nel suo ministero.

«Noi stessi contestammo quella parte dell'accordo nel quale si riconosceva l'aumento anche a chi era in distacco sindacale».