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Corriere-Le domande senza risposta di una scuola alla deriva

Le domande senza risposta di una scuola alla deriva di GIORGIO DE RIENZO "L a scuola in fondo è un racconto", dice Marilena Lucente nel suo libro, che non è un romanzo ambientato nella scuol...

16/10/2005
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Corriere della sera

Le domande senza risposta di una scuola alla deriva
di GIORGIO DE RIENZO
"L a scuola in fondo è un racconto", dice Marilena Lucente nel suo libro, che non è un romanzo ambientato nella scuola, come quelli strampalati della Mastracola, ma una sorta di zibaldone in cui - senza un filo conduttore forte - si accumulano piccole vicende, domande ansiose, riflessioni serie (o impertinenti) e spaccati di vita quotidiana. C'è uno spunto originale che si perde dopo poche pagine: un sovrapporsi di tempi. La Lucente infatti si propone all'inizio nelle vesti di una professoressa, figlia (e nipote) di insegnanti e madre di scolari: e per un tratto del libro riesce a rimanere tale in un bel mescolarsi di immagini ed emozioni, di nostalgie e d'interrogativi. È un percorso che purtroppo s'interrompe presto. Sulla scena rimangono solo la "prof" che insegna Italiano e Storia in un Istituto Tecnico "di frontiera" e la madre che cerca di scoprire il misterioso tragitto scolastico dei figli. Basta però questa duplice prospettiva a dare profondità al libro. Sullo sfondo rimane il quadro di una scuola allo sfacelo come istituzione, proprio mentre si rinnova o finge di aggiornarsi. La Lucente coglie il punto centrale del problema: cambia la facciata, fioccano i proclami, ma non mutano i comportamenti dei colleghi o quando mutano - solo nella forma - può essere ancora peggio.
Come un mormorio fastidioso rimangono sullo sfondo le parole che non si sprecano nei collegi dei docenti, rispetto allo sperpero delle parole nelle circolari che fioccano di continuo, e invece quelle che si ascoltano di sfuggita in sala professori, dove - per lo più - ciascuno risolve sbrigativamente a proprio modo (o tornaconto) i guai che il nuovo può portare. Sempre sullo sfondo rimane il quadro grigio della burocrazia: le "i" di impreparato, le "a" di assente, le "note" che affollano le pagine dei registri, l'alchimia dei compiti e delle interrogazioni, dei giudizi e dei voti.
In primo piano invece c'è l'ostilità dei ragazzi a imparare e ascoltare, c'è quel loro schizofrenico comunicare pubblico con le scritte sui muri o sui banchi e il loro chiacchierio segreto, nel frenetico digitare sms sui cellulari, che vanno e vengono dentro e fuori dalla scuola o magari all'interno di una stessa classe. E allora come può la "prof" spiegare gli eventi della storia e far imparare la forza evocativa della poesia? Quali strumenti comunicativi può usare per entrare in contatto con i suoi allievi, imbottiti di miti televisivi, resi ciechi da spot pubblicitari?
Il libro della Lucente si fa zeppo di interrogativi. Perché i suoi ragazzi scrivono sui muri della scuola, perché proprio lì? "Qual è la strada giusta per incontrarli"? E come incastrare ciò che offrono la Storia e la Letteratura con le "emozioni" forti che i giovani ricevono dalla tivù? Può essere avvilente che un ragazzo, che ha ascoltato forse a caso una sua lezione su Dante, ora stia più attento perché è stato in grado di rispondere a una domanda di Amadeus in un quiz televisivo.
Forse - per incominciare - basterebbe un piccolo spostamento di prospettiva che partisse da una considerazione molto banale: che non esista una pedagogia buona per tutti, perché "l'uguaglianza della scuola è una utopia".