Corriere: «Le nostre università sono rimaste fuori dal campionato del mondo»
Il colloquio I coniugi scienziati
Cancro e cellule staminali, sane e tumorali. Avete trovato un gene-chiave che accomuna i tre campi? «Non si tratta di settori separati, sono in realtà collegati da unico filo comune... », risponde Antonio Iavarone. Di Benevento, studi alla Cattolica di Roma, al Policlinico Gemelli, lui e Anna Lasorella, compagni in tutto. A Roma hanno cominciato le ricerche sui tumori del cervello pediatrici, dal 1987. Brillanti studi che portavano anche finanziamenti. Negli Stati Uniti dal 1998, ma restavano con un piede in Italia. Poi, nel 2002, le dimissioni definitive. Perché? «Adesso non ho voglia di riprendere quella storia, ma a dieci anni di distanza le mie considerazioni sono sempre amare: tutto nel sistema universitario italiano sembra fermo a undici anni fa. Persiste un sostanziale disinteresse nei confronti della scienza. Nel campionato del mondo degli scienziati adesso è entrata anche Singapore, ma l’Italia ne resta fuori. Non è competitiva. Ma se mettessimo insieme una squadra con chi 'gioca' all’estero, avremmo una squadra vincente... ». Il paragone calcistico riporta per un attimo Iavarone in Italia, lasciata nel 1998 insieme ad Anna. Si ribellarono a una situazione di nepotismo per difendere la loro autonomia scientifica e professionale. Antonio e Anna, uno ispiratore dell’altro, autonomi ma in perfetto sincronismo. «Spesso ci scontriamo sulle ipotesi di studio — dice Anna — ma alla fine, seguendo anche strade diverse, arriviamo alle stesse conclusioni ». Candidati a un Nobel di coppia. Negli Stati Uniti hanno collezionato un successo professionale dopo l’altro, pubblicando sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali.
E questo gene Huwe1? «Certe caratteristiche dei tumori ci sono sempre sembrate prese in prestito dalle cellule staminali. Troppe coincidenze. Ora sappiamo perché. La chiave è in quel gene, in quella proteina — dicono all’unisono —. Non sappiamo ancora come 'somministrarla' alle cellule, ma è già partita la collaborazione con le industrie farmaceutiche. Nei topi abbiamo manipolato il Dna. Si toglie il gene, lo si rimette. Nel topo è possibile, ma nell’uomo no. Dobbiamo trovare il modo di 'riorientare' le cellule staminali, riprogrammarle. Così potremmo arrivare a curare i tumori, ma anche malattie come il Parkinson riprogrammando le staminali».
Rientrerete in Italia? «Uno dei motivi per cui, dopo le nostre proteste — rispondono —, in Italia non si fece nulla è perché il sistema è generalizzato. Negli Usa, se c’è uno scandalo si allontana chi non s’è comportato correttamente. E, d’altro canto, i vari governi che si sono succeduti in questi anni non hanno mai pensato di modificare il sistema della ricerca. Altri Paesi, come la Spagna, hanno costruito nuovi centri, non collegati al sistema universitario, dove lavorano ricercatori stranieri di prestigio internazionale. Si imiti la Spagna e rientreremo». E’ uno dei sogni di Antonio e Anna: sviluppare in Italia una rete di ricerca competitiva che attragga cervelli. Loro li attraggono. Hanno hanno in équipe anche tre ricercatori italiani, età media 32 anni. «Hanno borse di ricerca finanziate dal ministero del Welfare e dalla Provincia di Benevento». Selezionati come? «In base al merito». Meridionali? «Uno del Nord, uno del Centro, uno del Sud». E con loro altri giovani di tutto il mondo. «Un 'crogiolo' di cervelli... Gli altri, però, se poi rientrano nei loro Paesi possono lavorare come qui». Amara conclusione.