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Corriere: «Le nostre università sono rimaste fuori dal campionato del mondo»

Il colloquio I coniugi scienziati

18/08/2009
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Corriere della sera

Cancro e cellule staminali, sane e tumo­rali. Avete trovato un gene-chiave che ac­comuna i tre campi? «Non si tratta di setto­ri separati, sono in realtà collegati da uni­co filo comune... », risponde Antonio Iava­rone. Di Benevento, studi alla Cattolica di Roma, al Policlinico Gemelli, lui e Anna La­sorella, compagni in tutto. A Roma hanno cominciato le ricerche sui tumori del cer­vello pediatrici, dal 1987. Brillanti studi che portavano anche finanziamenti. Negli Stati Uniti dal 1998, ma restavano con un piede in Italia. Poi, nel 2002, le dimissioni definitive. Perché? «Adesso non ho voglia di riprendere quella storia, ma a dieci anni di distanza le mie considerazioni sono sempre amare: tutto nel sistema universi­tario italiano sembra fermo a undici anni fa. Persiste un sostanziale disinteresse nei confronti della scienza. Nel campionato del mondo degli scienziati adesso è entra­ta anche Singapore, ma l’Italia ne resta fuo­ri. Non è competitiva. Ma se mettessimo insieme una squadra con chi 'gioca' al­l’estero, avremmo una squadra vincente... ». Il paragone calcistico riporta per un atti­mo Iavarone in Italia, lasciata nel 1998 in­sieme ad Anna. Si ribellarono a una situa­zione di nepotismo per difendere la loro autonomia scientifica e professionale. An­tonio e Anna, uno ispiratore dell’altro, au­tonomi ma in perfetto sincronismo. «Spes­so ci scontriamo sulle ipotesi di studio — dice Anna — ma alla fine, seguendo anche strade diverse, arriviamo alle stesse con­clusioni ». Candidati a un Nobel di coppia. Negli Stati Uniti hanno collezionato un suc­cesso professionale dopo l’altro, pubbli­cando sulle più prestigiose riviste scientifi­che internazionali.

E questo gene Huwe1? «Certe caratteri­stiche dei tumori ci sono sempre sembrate prese in prestito dalle cellule staminali. Troppe coincidenze. Ora sappiamo per­ché. La chiave è in quel gene, in quella pro­teina — dicono all’unisono —. Non sappia­mo ancora come 'somministrarla' alle cel­lule, ma è già partita la collaborazione con le industrie farmaceutiche. Nei topi abbia­mo manipolato il Dna. Si toglie il gene, lo si rimette. Nel topo è possibile, ma nell’uo­mo no. Dobbiamo trovare il modo di 'rio­rientare' le cellule staminali, riprogram­marle. Così potremmo arrivare a curare i tumori, ma anche malattie come il Parkin­son riprogrammando le staminali».

Rientrerete in Italia? «Uno dei motivi per cui, dopo le nostre proteste — rispon­dono —, in Italia non si fece nulla è per­ché il sistema è generalizzato. Negli Usa, se c’è uno scandalo si allontana chi non s’è comportato correttamente. E, d’altro can­to, i vari governi che si sono succeduti in questi anni non hanno mai pensato di mo­dificare il sistema della ricerca. Altri Paesi, come la Spagna, hanno costruito nuovi centri, non collegati al sistema universita­rio, dove lavorano ricercatori stranieri di prestigio internazionale. Si imiti la Spagna e rientreremo». E’ uno dei sogni di Anto­nio e Anna: sviluppare in Italia una rete di ricerca competitiva che attragga cervelli. Loro li attraggono. Hanno hanno in équi­pe anche tre ricercatori italiani, età media 32 anni. «Hanno borse di ricerca finanzia­te dal ministero del Welfare e dalla Provin­cia di Benevento». Selezionati come? «In base al merito». Meridionali? «Uno del Nord, uno del Centro, uno del Sud». E con loro altri giovani di tutto il mondo. «Un 'crogiolo' di cervelli... Gli altri, però, se poi rientrano nei loro Paesi possono lavo­rare come qui». Amara conclusione.