Corriere: Nella riforma meno sprechi e più sistema Una consulta nazionale per unire gli sforzi
Così cambieranno gli enti di ricerca
Dopo la legge delega approvata dal passato governo nel 2007, l’iter è vicino alla conclusione
«Ultimo miglio» L’obiettivo è il trasferimento all’esterno dei risultati di laboratorio, in modo da generare effetti concreti nel mondo produttivo
Attesa e preoccupazione: sono le due parole che corrono sulla bocca degli scienziati negli enti di ricerca controllati dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Il motivo è l’avvio della riforma. «Abbiamo ripreso la legge delega n.165 del settembre 2007, approvata dal passato governo con l’ex ministro Fabio Mussi ed ora, dopo vari rinvii, dobbiamo completare l’opera per il 31 ottobre. Così entro la fine dell’anno potrà essere già adottata» spiega Antonio Agostini, direttore del settore al ministero.
Che il mondo della ricerca nazionale abbia bisogno di considerazione, di cure e di scelte politiche è sotto gli occhi di tutti data l’ultradecennale trascuratezza. Certo non può ridursi al tema della «fuga dei cervelli» che periodicamente riemerge. È un dettaglio; questa realtà ha bisogno di affrontare ben altri problemi che sono alla base della cronica posizione in fondo alla classifica nelle statistiche internazionali. Più volte in passato si è tentata una riforma degli enti senza grandi successi, visti i risultati.
Adesso, almeno a parole, l’intervento sembra davvero prossimo ma con quale obiettivo, questa volta? «Premetto che dobbiamo agire nell’ambito del contenimento della spesa pubblica chiesto dal governo — precisa Agostini — ma lo scopo è razionalizzare, migliorare la qualità, costringere la comunità scientifica a fare sistema e raggiungere un’integrazione con l’Università e le imprese. Il tutto nell’esercizio di un’autonomia esistente. Parlare di libertà di ricerca violata è pleonastico: lo dice la Costituzione ed è in vigore».
Ma come si intende tradurre in pratica i propositi? «Creando innanzitutto una consulta nazionale di tutti gli enti in modo che possano partecipare al piano della ricerca in gestazione e possano essere sistematicamente sentiti e ascoltati per affrontare tempestivamente i vari aspetti». Tra i provvedimenti in cantiere ci sono: delle aggregazioni per raggiungere una massa critica che valorizzi le professionalità dei ricercatori, la definizione della proprietà intellettuale per trovare risorse e sostenere lo sviluppo delle idee, il rafforzamento della temporanea mobilità tra pubblico e privato e la soluzione dell’«ultimo miglio della ricerca, cioè il trasferimento all’esterno del risultato di laboratorio capace di generare effetti nel mondo produttivo». Ma quali sono le reazioni?
Ricco di speranze si dichiara Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia: «È una riforma assolutamente necessaria. Oggi è un mondo confuso con sovrapposizioni soprattutto fra piccoli enti distribuiti nei vari ministeri, dalla salute all’agricoltura, all’industria e conseguenti inutili competizioni. Il nostro Istituto che ha un impatto importante sul territorio, con necessità operative molto rapide, sta elaborando una serie di proposte al fine di migliorare la gestione con criteri più moderni. L’importante per la riforma è aver chiaro cosa vuole il Paese e dove si vuole andare. Da parte mia coltivo speranze confidando nel senso pratico del ministro ».
Non si aspetta rivoluzioni Luciano Maiani, presidente del Consiglio nazionale delle ricerche: «Siamo già stati riformati dal passato governo Berlusconi e ci resta solo da rivedere alcuni aspetti di maggior collegamento tra vertice e base, ma bastano pochi correttivi. Non sarei d’accordo con un eventuale spacchettamento: il Cnr può rispondere al suo ruolo se rimane compatto. In generale, vedo anch’io qualche dispersione di risorse da recuperare ».
Ottimista è Enrico Saggese, presidente dell’Agenzia spaziale italiana Asi: «Intervento indispensabile ma per la nostra agenzia è necessaria anche una legge di riforma specifica condivisa dai vari schieramenti per garantire stabilità, dal momento che i nostri programmi sono distribuiti su tempi lunghi. In secondo luogo, bisogna definire struttura e responsabilità tenendo conto che noi siamo un’agenzia che assegna fondi ad altri per fare ricerca».
Positiva con qualche condizione è la visione di Roberto Petronzio, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare: «Sani principi, se si riescono ad evitare le ingerenze politiche che su alcuni enti pesano. Per il mio Istituto che realizza già tutte le aspirazioni della legge non temo grandi sussulti. L’operazione è importante ma credo non debba toccare le realtà che funzionano. Ben venga la valutazione: ogni riforma è benemerita se serve a fare dei passi avanti».
Distaccato si rivela Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia: «La divisione tra gli enti è un problema storico e non mi aspetto cose particolari. Alla base delle difficoltà c’è la mancanza di direzioni precise sulle priorità su cui concentrare gli sforzi. Da noi c’è uno scontro sterile sulla libertà della ricerca, sulla divisione tra ricerca di base e applicata. Inoltre non si realizza nei gruppi una massa critica, si vuol fare molto e non si fa nulla. È indispensabile una rigorosa valutazione con criteri internazionali e l’importante è indirizzare le risorse in base ai risultati ».
Scetticismo dichiara Tommaso Maccacaro, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica: «Siamo già stati riformati a costo zero con il ministro Moratti. Se si ripete l’operazione con lo stesso approccio finiamo estinti. Spero quindi che si voli alto nei criteri riconoscendo la specifictà degli enti. I criteri generici e indistinti voluti dal ministro Brunetta per il pubblico impiego non si possono applicare ai centri di ricerca: ognuno va considerato caso per caso».
Intanto si lavora al Piano nazionale della ricerca e il 24 luglio è stato convocato un gruppo di consultazione comprendente enti e ministeri. Saranno coinvolti anche Confindustria, sindacati, grandi società come Eni, Enel, Fiat e Finmeccanica. «Il Piano vorrebbe segnare un’inversione di tendenza anche per le spese — nota il direttore della ricerca al ministero — parlare di ripresa senza ricerca è contradditorio ». Rimane sospesa la situazione delle attività in Antartide oggi condivise con vari enti e per le quali da tempo si ipotizza la costituzione di un’agenzia. «Per gli studi polari l’orientamento è confermato — conclude Antonio Agostini —. E sopravvive la speranza di realizzarla».
Giovanni Caprara