Corriere: Passo importante e qualche limite
Università all'esame della ricerca
di FRANCESCO GIAVAZZI
Quattro anni fa, per iniziativa del ministro Moratti, fu svolta una valutazione della ricerca prodotta nelle nostre università seguendo criteri normali in altri Paesi, ad esempio la Gran Bretagna. La valutazione avvenne sia consultando indicatori oggettivi, sia chiedendo il parere di esperti, spesso di università non italiane.
Per quattro anni chi a quell’esercizio si dedicò con passione fu deluso e deriso. Deluso perché la promessa di usare quei risultati per allocare i fondi pubblici tenendo conto del merito scientifico fu presto dimenticata. Deriso dai molti colleghi che in questi anni non hanno perso occasione per sottolineare l’ingenuità di chi ancora crede alla possibilità di migliorare la nostra università.
La decisione del ministro Gelmini di usare quei risultati per allocare una quota, seppur piccola, del fondo ordinario di finanziamento delle università è un passo importante. Non solo perché per la prima volta in Italia si introduce un criterio di merito nell’allocazione alle università delle risorse pubbliche, ma soprattutto perché, se quell’esercizio fosse rimasto lettera morta, nessuna valutazione, per quanto ottima, avrebbe più avuto alcuna credibilità.
Certo, vi sono moltissimi limiti. La quota dei fondi pubblici allocati sulla base dei risultati della ricerca è minuscola, solo il 5% (un altro 2% è assegnato in base a valutazioni sulla didattica). In quel 5% il giudizio di quattro anni fa conta solo per una metà: il resto dipende in parte dalla capacità dei dipartimenti di attrarre finanziamenti europei (e questo è bene), in parte dalla partecipazione a progetti di ricerca nazionali, che invece sono notoriamente assegnati secondo criteri diversi dalla qualità scientifica.
Il limite più grave è che i fondi saranno allocati sulla base della valutazione media dei dipartimenti di un’università, anziché destinarli direttamente a chi ha più meritato. Ad esempio, il dipartimento di matematica di Tor Vergata è stato giudicato uno dei migliori in Italia: questo consente a quell’università di ottenere un po’ di fondi in più. Come li distribuirà il rettore? Anche ai giuristi, che a Tor Vergata hanno ottenuto una valutazione non particolarmente brillante?
Importanti sono anche la nascita dell’Agenzia per la valutazione dell’università con organi scelti attraverso un meccanismo che limita la discrezionalità del ministro, la ripresa delle valutazioni della ricerca migliorandone i criteri, il limite alla proliferazione degli insegnamenti, la riduzione di settori disciplinari, in passato costruiti in modo da dare ad ogni gruppetto di baroni un proprio feudo.
Non si cambia l’università in un giorno, ma questo è un secondo segnale forte (il primo fu il decreto sui concorsi di novembre) del quale il ministro Gelmini porta tutto il merito. Il passo successivo sarà cambiare la governance degli atenei limitando il potere dei rettori, oggi sottratti a qualunque controllo e schiavi dei loro grandi elettori.
E tuttavia, nessuna riforma salverà le nostre università se queste rimarranno senza risorse. Con i tagli confermati nel Dpef molte università a novembre chiuderanno. La scelta è del ministro dell’Economia: o rinuncia ai suoi tagli, o ha il coraggio di proporre un innalzamento delle rette pagate dalle famiglie. Oggi può ancora scegliere; a novembre, quando gli atenei bruceranno, potrà solo pagare per spegnere l’incendio.