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Corriere: Sapienza, docenti solidali con il preside sequestrato

All'Università Faccia a faccia tra il professore e gli studenti. Documento dei colleghi: condanniamo ogni violenza

30/05/2008
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Corriere della sera

Collettivi contro Pescosolido: mai minacciato. Lui: confermo

«Il parallelo con Romeo? Mi sembrano situazioni diverse, grazie a Dio non mi sembra di vivere quell'atmosfera»
ROMA — Due verità parallele, e due mondi distantissimi tra loro, si confrontano nell'Aula magna di Lettere alle 14. C'è la verità personale del preside Guido Pescosolido per ciò che è avvenuto giovedì dopo le 13 nel corridoio della presidenza: «Sì, mi sono sentito sequestrato, lo confermo. Ho percepito di non poter uscire liberamente dal mio ufficio. Eravamo in quattro, due impiegate e un collega. C'era chi dava pugni e calci alla porta. Se una ventina di agenti in borghese non bastano a giustificare una situazione di pericolo... Ho chiamato la polizia, mi ha detto di rimanere dentro. Quindi sono arrivati gli agenti ».
E accanto, letteralmente a un passo di distanza, c'è la verità dei Collettivi di Lettere, raccontata nel documento appena letto davanti al Consiglio di facoltà di Lettere: «Nessuno minaccia nessuno, né il preside, né altri professori, né la famiglia del preside. Non ci sono state perché le minacce non appartengono alla nostra cultura politica, semmai a quella di Forza Nuova». I gruppi dei ragazzi in corridoio: «Pescosolido ha voluto chiamare la polizia, nessuno gli avrebbe impedito di uscire, eravamo rimasti in pochi...». La Rete per l'Autoinformazione pensa persino di querelare il preside per diffamazione «perché la contestazione è stata puramente verbale ».
Ci vuole una lunga riunione del Consiglio della facoltà di Lettere per sciogliere la tangibile tensione al primo piano della facoltà. L'accusa di Pescosolido apparsa sul Corriere della Sera («mi hanno sequestrato ») provoca di prima mattina la dura reazione dei Comitati: dichiarazioni a stampa e tv («il preside si inventa un caso perché non è in grado di gestire le proprie responsabilità, ha tutti contro da noi al rettorato »), volantinaggi, scritte «Pescosolido dimettiti» su lunghi teloni bianchi e spray azzurro. Paradossalmente proprio la riunione dei professori contribuisce a distendere l'atmosfera. Due ragazzi entrano a metà vertice e leggono tranquillamente il documento in Consiglio di facoltà. Chiedono di «accogliere la richiesta di dimissioni del preside» ricordando che «contestare è parte integrante della democrazia».
Alla fine i professori all'unanimità votano un documento in cui si «condanna fermamente ogni forma di violenza utilizzata come arma politica», si ribadisce che «i valori dell'antifascismo sanciti dalla Costituzione sono alla base dell'operare in un'istituzione pubblica qual è la facoltà di Lettere», conferma «la propria fiducia al preside Pescosolido e gli esprime piena solidarietà per le pesanti minacce» e riafferma «il ruolo della facoltà come luogo di libera e aperta discussione culturale».
Conclusa la riunione, Pescosolido legge il documento ai giornalisti. Entrano anche i ragazzi dei Comitati. E per la prima volta i due universi si incontrano. Con una evidente e reciproca curiosità: le magliette a maniche corte dei ragazzi, il compassato principe di Galles del preside. Voce di un ragazzo: «Ma quale violenza....». Il preside: «C'è un modo di esprimersi violento verbalmente e nelle forme, anche se nessuno ha mai alzato una mano su di me. Avvengono a volte atti di cui i Comitati non si rendono conto. Occupare la presidenza di una facoltà forse è normale? No, è un reato». Altra voce: ma noi non abbiamo minacciato nessuno... Un giornalista afferra la frase al volo, insiste col preside. Pescosolido si gira, appare molto scosso: «Qualcuno mi ha chiesto, dopo avermi dato un colpetto sulla spalla, quanti figli avessi. Lo confermo. C'era un collega con me. Entrambi abbiamo denunciato lo stesso episodio». Vicino a lui c'è lo storico Vittorio Vidotto, il collega di cui parla. Si dimette? «Di fronte a questa solidarietà devo restare. Ma se il clima continua a essere intollerabile, se non esistono più le condizioni civili e democratiche per la libertà di insegnamento, potrei lasciare ».
Qualcuno gli chiede se tutto questo per caso gli ricorda gli anni 70 quando da giovane assistente vide puntare una pistola contro Rosario Romeo, che si rivelò scarica solo quando si sentì un «clic» indimenticabile per il preside: «Mi sembrano situazioni diverse, grazie a Dio non mi sembra di vivere quella atmosfera». Infine arriva il quesito di fondo, il nodo: autorizzerebbe ancora il convegno sulle foibe che ha innescato l'incendio all'università in questi giorni? «Se mi venisse presentato di nuovo in quei termini sì. Per me occorre riuscire a far parlare, neutralizzandolo, anche chi non crede nella democrazia». Il preside torna nell'ufficio. Stavolta il corridoio è vuoto. Arriva il gran ponte di fine maggio. Contestazione addio. Per ora.
Paolo Conti